marco valenti scrive

marco valenti scrive

31 marzo 2011

Cena romanesca: ricette

Come avevo promesso torno a parlare della cena romanesca con letture per parlare di ricette tipiche di Roma.


MENU



Carrello di formaggi del Lazio



Ciriole



Colli lanuvini superiore 2009


Lettura di “Er compagno scompagno” di Trilussa



Mezze maniche rigate all’Amatriciana



Vino Rosso eco solidale e contro le mafie



Lettura da “L’arco de la ciambella” di Giovanni Gigliozzi



Gnocchi alla romana


Per 4 persone:


250 gr. di semolino


1 litro di latte


1 uovo intero


50 gr. di burro


100 gr. di Parmigiano grattugiato


Sale q.b.


Noce moscata



Portate il latte a ebollizione con un pizzico abbondante di sale e una grattugiata di noce moscata. Versate il semolino a pioggia mescolando con una frusta. Cuocete il semolino per qualche minuto continuando a mescolare. Incorporate l’uovo e la metà del parmigiano. Versate il semolino in un’ampia teglia rettangolare preventivamente unta con qualche goccia d’olio (è perfetta la teglia del forno) e livellatelo con una spatola inumidita per ottenere uno strato dell’altezza di un centimetro circa. Lasciate raffreddare. Con uno stampino di forma circolare ricavate tanti dischi. Sistemate i dischi in una pirofila imburrata, cospargeteli con il Parmigiano grattugiato e irrorateli con i cinquanta grammi di burro fuso. Passate gli gnocchi in forno a 200 gradi per una ventina di minuti, finché non avranno formato una crosticina dorata.



Coratella coi carciofi



Pecorino romano



Carciofi alla romana



Ciriole


Lettura da “La scoperta de l’America” di Cesare Pascarella


Crostata di Ricotta e Ciliegie con Visciolata a parte


300 g di farina 150 di burro 1 uovo intero e 2 tuorli 150 g di zucchero un pizzico di sale



Fare la pasta frolla e stenderne i ¾ nella teglia


Riempire la metà del volume con circa 500 gr di ricotta mescolata con due tuorli d’uovo ed una spolverata di zucchero.


Fare un secondo strato con la marmellata di visciole .


Coprire con la pasta frolla rimanente, decorando a piacere e lucidandola con un poco di latte.


Cuocere in forno a circa 180 gradi per una mezz’ora senza far scurire troppo la pasta.


Vino di Visciole


Liquore di mandarino fatto in casa


Lettura da “Er compromesso rivoluzzionario” di Anonimo Romano


Liquore di cioccolato fatto in casa


Splendida Compagnia



Ecco. Gli gnocchi alla romana e la crostata di ricotta e visciole, per come la raccontano le persone che le hanno preparate.

29 marzo 2011

Post di Poste



Si scrive per esorcizzare, per raccontare, per testimoniare: vi dico di un posto dove non tornerò mai più.


Emmevù


Mi ero recato alla posta durante la mia mezzora di pausa pranzo, di buon passo, felice di andare a spedire alcuni miei libri.


Lettera P come pacchi e raccomandate, fila dedicata; essere correntista, lettera E, dovendo spedire un pacco, non mi dava file privilegiate. La A è per i conti correnti, bollettini, e ritiro pensioni.


Mi consolava il fatto di avere solo cinque persone prima di me ed ero persuaso sarebbe stata una cosa breve: ben due sportelli riportavano sui led luminosi in alto la lettera dedicata. Pensavo potesse scapparci perfino un panino, dopo.


Tra i clienti una signora con i capelli biondi, taglio corto e tailleur pervinca, doveva avere un contratto di telefonia mobile particolarmente vantaggioso perché, incessantemente, faceva e riceveva telefonate. Il suo timbro di voce era tale da mettere l’intero ufficio al corrente dei fatti suoi.


Impiegati dietro il bancone un lui brizzolato ed una lei corpulenta, dai movimenti brachicardici; una signora di fronte all’impiegata; desolatamente nessuno di fronte all’impiegato.


Interrogando in giro scoprivamo che era impegnato in una chiusura di cassa e che, pertanto, non poteva ricevere pubblico. Passarono minuti dopo minuti e, finalmente, un signore di piccola taglia arrivava a fronteggiare l’impiegata brachicardica. La signora bionda continuava a metterci a parte della sua vita attraverso il suo telefonare. Si bloccava, inesorabilmente, il bancomat del signore di piccola taglia. Il tempo scorreva, inesorabilmente pure lui, ed il numero dei clienti aumentava.


Avendo notato una vivacità decisamente superiore nel settore conti correnti, dove erano di più gli impiegati attivi, mi permettevo di avvicinarne uno per domandargli se non fosse il caso di distribuire in modo più equo i lavoratori dell’ufficio postale, facendo contemporaneamente presente che il mio bigliettino di prenotazione portava l’ora in cui ero entrato, che erano trascorsi venticinque minuti e solo due clienti (uno e mezzo, per la verità) avevano avuto soddisfatte le loro richieste.


“Sto lavorando, signore: per queste cose deve parlare col direttore”.


“E dov’è il direttore?”.


“Se lo faccia chiamare”.


“Va bene, lo chiami”.


“Non posso: come vede sto lavorando”.


Non rimaneva che la resa, di fronte ad un discorso così efferato, ed il ritornare nel mio settore dell’ufficio.


A parte qualche frammento delle vicende personali della bionda non avevo perso un granché. Il signore di piccola taglia si era arreso ad uscire dall’ufficio per fare un prelievo con proprio bancomat ed il terzo cliente sparpagliava diverse raccomandate sul banco dell’impiegata.


La mia mezzora di pausa pranzo se ne era nervosamente andata.


I colpi di scena, ormai lo sappiamo tutti, sono continuamente in agguato.


Vidi l’impiegato, quello maschio brizzolato, alzarsi e sporgersi in avanti fino ad individuare la bionda telefonante.


“Signora, per favore, qui non si può usare il cellulare”.


“Scusa un attimo… ti richiamo io… devo dire due parole a una persona”.


Si alza in piedi e si avvicina all’impiegato.


“E dove sta scritto che non posso usare il telefonino? C’è forse un cartello? Pensate, piuttosto, a fare il vostro lavoro! Sono quaranta minuti che…”.


“C’è scritto, c’è scritto! E poi è una questione di modi: un conto è una telefonata di pochi minuti, un altro…”.


“Voglio proprio vedere dove sta scritto!” e ciò detto la bionda si dirigeva verso l’ingresso dispensando a voce alta la propria perplessità sull’accaduto. Per poi tornare e sostenere, con voce possibilmente più alta e decisamente contrariata, che non fosse scritta né in cielo né in terra una tale limitazione alla propria libertà e che gli chiamassero immediatamente il direttore.


La figura mitologica, o figura retorica, del direttore era stata invocata già due volte.


Alcuni clienti, pragmaticamente aggrappati ad un istinto di sopravvivenza invitavano la signora a rivolgersi altrove per cercare il direttore e a non rallentare, ulteriormente, le esasperanti operazioni di disbrigo pacchi e raccomandate. Mentre la signora, convinta, si allontanava per la seconda volta l’uomo di piccola taglia tornava dall’aver espugnato qualche bancomat dei paraggi (tempo ne aveva avuto) e sostituire il cliente precedente per perfezionare le operazioni già iniziate. Mentre la signora, che non era riuscita ad incontrare il direttore tornava indietro minacciando esposti e paventando provvedimenti disciplinari per tutti l’impiegato brizzolato tornava operativo e chiamava il numero successivo.


Era la signora bionda.


A quel punto di tutto voleva parlare ma non della sua raccomandata.


La mia desolazione aumentava.


“Signora: faccia quello che crede ma io sto qui per lavorare. Mi dica cosa deve fare o se ne vada”.


“Ecco qui. Devo fare una raccomandata”.


“Va bene mi dia il modulo”


“Non ce l’ho: me lo dia lei”.


Io a quel punto mi trovavo a pensare che, forse, un po’ di telefonate in meno avrebbero lasciato il tempo alla signora di procurarsi e perfino compilare il modulo ma mi guardavo bene dall’esternare.


Come un atleta ero pronto allo scatto.


Quando l’impiegato chiese chi fosse il prossimo, brandendo il mio pacco mi faci avanti.


“Ce lo ho in mano da quarantacinque minuti e ho il P104: mi offro volontario!!!”.

27 marzo 2011

Cena romanesca con letture umoristiche locali.




Cena romanesca con letture umoristiche locali.
Uno (perché ci tornerò sopra almeno per qualche ricetta): menù, letture, sulla Ciriola e sul Colli Lanuvini Superiore.
MENU
Carrello di formaggi del Lazio
Ciriole
Colli lanuvini superiore 2009
Lettura di “Er compagno scompagno” di Trilussa
Un Gatto, che faceva er socialista
solo a lo scopo d'arivà in un posto,
se stava lavoranno un pollo arosto
ne la cucina d'un capitalista.

Quanno da un finestrino su per aria
s'affacciò un antro Gatto: - Amico mio,
pensa - je disse - che ce so' pur'io
ch'appartengo a la classe proletaria!

Io che conosco bene l'idee tue
so' certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me... Semo compagni!

- No, no: - rispose er Gatto senza core
io nun divido gnente co' nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so' conservatore!
Mezze maniche rigate all’Amatriciana
Vino Rosso eco solidale e contro le mafie
Lettura da “L’arco de la ciambella” di Giovanni Gigliozzi
Gnocchi alla romana
Coratella coi carciofi
Pecorino romano
Carciofi alla romana
Ciriole
Lettura da “La scoperta de l’America” di Cesare Pascarella
Crostata di Ricotta e Ciliegie con Visciolata a parte
Vino di Visciole
Liquore di mandarino fatto in casa
Lettura da “Er compromesso rivoluzzionario” di Anonimo Romano
Liquore di cioccolato fatto in casa
Splendida Compagnia
La ciriola romana
è un tipo di pane riconosciuto per la regione Lazio tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Pane generalmente di piccolo taglio che varia dai 70 ai 100 grammi (ma le ciriole di ieri erano ben più grandi!!), di forma vagamente simile ad un pallone da rugby e pieno di mollica, era un tempo il tipico supporto per i panini dei lavoratori, oggi più difficilmente reperibile perché parte del calmiere sui prezzi e, quindi, poco sfornato perché meno remunerativo rispetto a qualsiasi altro pane. Come tutti i piccoli pani perde rapidamente fragranza. È usato per crostini il giorno seguente la sua cottura.
Due parole sul vino.
Colli Lanuvini Superiore 2009 DOC. 13,50%vol.
L’uvaggio selezionato di Malvasia del Lazio e Trebbiano avente giusto grado di maturazione lo arricchiscono di freschezza pronunciata,buona struttura e giuste intensità fruttate
.
L'azienda Agricola Camponeschi , situata sulle pendici dei Colli Lanuvini , si estende su venticinque ettari coltivati con le più moderne tecnologie.
Il fondatore dell'Azienda è Marino Camponeschi che ormai da trent'anni si dedica al miglioramento della qualità dei vini dei Castelli Romani e allo sviluppo della loro autentica immagine propagandola in Italia e all'estero.
La natura vulcanica del terreno e la particolare esposizione dei vigneti , la cui produzione non supera i 90 quintali per ettaro , costituiscono gli elementi fondamentali per la realizzazione dei vini prodotti dall'Azienda.
Le uve raccolte precocemente e tutte a mano , vengono pressate in modo soffice allo scopo di ottenere una resa non superiore al 65%; successivamente la fase della fermentazione avviene a bassa temperatura sul mosto illimpidito. L'imbottigliamento e le altre lavorazioni , come la frizzantatura e la spumantizzazione vengono tutte effettuate all'interno dell'azienda da mani rese esperte da decenni di lavoro secondo i canoni della più moderna tecnica enologica. L'Azienda Agricola Camponeschi offre al consumatore un'ampia scelta di prodotti , tra questi si segnala come ultimo nato il "Carato" , significativo esempio della qualità superiore della produzione , realizzato dopo un'invecchiamento in Carati di Rovere per arricchire di nuove inflessioni aromatiche il carattere già definito.

25 marzo 2011

Roma sparita


http://www.romasparita.eu/


Sono bravissimi e appassionati.
Conto di seguire il loro sito
appena nato
e invito
tutti a fare loro visita.

23 marzo 2011

Edizione limitata

Della canzone ho già parlato; del libro e dello spettacolo anche.

Spendo solo un personale grazie agli amici che qualche anno fa realizzarono questa bellissima versione.

Loro sanno senza che li citi e ho nel cuore ognuno di loro e quel tempo.

Invito all’ascolto, alla visione, a un parere.

18 marzo 2011

il vino del barbiere



Usci di casa e si recò dal barbiere, Ottavio, lo stesso da diversi anni. Quella tipologia di barbiere per cui puoi chiacchierare del più e del meno perché ti conoscono ogni capello hai in capo e non serve contrattare acconciature da rivista.
Uscì dal salone con in mano una bottiglia di vino e un sorriso compiaciuto.
Straordinariamente compiaciuto. Sperava nel dono, nell’omaggio di Ottavio, ma il codice non scritto era non chiedere ma attendere la mossa di Ottavio.
A richiesta avrebbe certamente opposto un cortese ma fermo diniego.
Il vino del barbiere. Lo riservava a pochi affezionati clienti ed era un rosso fatto da certi suoi parenti, “fatto con l’uva” diceva sempre. Non meno di tredici gradi e mezzo, uve campane di sole e lava.
Aveva già preso dalla zia Rosa, ultraottantenne, una bella cartata di fettuccine fatte in casa e aveva raccomandato alla moglie un sugo che fosse poco rosso.
La zia continuava a stendere la sfoglia a dispetto dell’età, con una precisione ed una capacità assolutamente uniche.
Né a lui né al suo migliore amico piacevano i sughi troppo lenti, quelli da macchia sulla camicia bianca, e preferivano un sugo rosso con sussiego, affatto acquoso.
Passò in norcineria per la pancetta di maiale e trovò che, oltre le salsicce comuni, la piccola bottega aveva in bella mostra un’epifania di salsicce al finocchio. Chiese lumi e si face convincere soltanto parzialmente. Metà normali metà col finocchio.
Patate al forno di accompagno.
Gli amici arrivarono puntuali con un dolce al cioccolato fatto in casa e ogni cosa ebbe sapore, ed era perfetta. Incluse chiacchiere per nulla scontate, affetto di lunga data, volersi bene in una intimità domestica e allegra che rese lieve ogni ombra che pur passava nelle loro esistenze a fare freddo a quella che, altrimenti, sarebbe stata la loro assoluta solarità.
Una serata deliziosa.
Le buone parole, i sorrisi, e la tavola perfetta fecero il successo dell’incontro.




Bello no?
Ci si chiederebbe chi lo ha scritto, quando accadde, che paesino sia stato a ispirare questa atmosfera.
D’accordo.
Roma, quindici giorni fa non oltre.
Lode all’amico, al suo barbiere, al suo norcino, alla sua zia, alla moglie.
Lode alla voglia di abbandonare la grande distribuzione per una qualità sapiente e assoluta.
Meglio mangiare legumi che carni di qualità scadente.
Grazie per la cena; per l’amicizia non ci sono aggettivi.

15 marzo 2011

fratelli di Italia


Giuro che non avrei voluto mai e poi mai entrarci.
Sono polemiche da bar, stupide, e trovo che sia più appropriato starne fuori.
Voglio dire: l'unità di un Paese! Merita divisioni? Certo che no. No. Serve il massimo della condivisione, dalla Sicilia a Bolzano.
Bolzano: non ci stanno? Ok: andare. Lasciare nel piatto quello che han guadagnato e andare a passi lunghi e ben distesi.
17 Marzo; unità d'Italia. Il Paese. Con la P maiuscola. 150 anni valgono bene una festa... no? Centocinquanta anni che siamo un popolo solo, una Nazione, un Paese.
Invece polemiche.
Non vorrei parteciparvi mai ma, tuttavia, ci sono polemiche.
C'è chi dice che non c'è un bel nulla di cui essere fieri e c'è chi dice che festeggiare leva ore di lavoro all'Italia che lavora e che produce e che, pertanto non c'è un bel nulla da festeggiare.
Nel bailamme chi non si sente proprio italiano per nulla.
Mi barcameno come posso, con le mie convinzioni, e mi attesto a ritenere che si stia parlando di valori sovraordinanti interessi di pollaio.
Mi illudo.
Mi rendo conto di fare un ragionamento troppo lungo per la maggioranza degli utenti.
Chiedo scusa.
150 anni valgono una festa o no? Io sostengo, convintamente, di si e penso anche che debba essere una festa grande.
Qualcuno se ne è discostato perché non coinvolto (e che: so' italiano io????) e chi piuttosto ha pensato che spendere un giorno di vacanza nuocesse alle capacità del Paese a produrre e costruire un futuro migliore.
Un giorno: si. Stiamo parlano di un cavolo di giorno di lavoro.

C'è gente che scarta l'agenda per vedere, prima di ogni altra cosa, che riserverà l'anno che verrà in termini di sabati, domeniche, ponti e festività: non mi iscrivo a questa schiera.
Tuttavia....
Tuttavia la posizione di Confindustria è tale per cui sembra che questa "una tantum" potrebbe gettare il Paese nel panico produttivo da rebound.

Guardo nobilmente e distrattamente l'annuario 2011.
Quel tanto che risulta sufficiente ad appurare, senza tema di smentite, che:
il 25 Dicembre oltre ad essere Natale è domenica;
ferragosto, 15 agosto, è lunedì:
il 25 aprile è lunedì ma il 24 è Pasqua.
A cercarlo come lo vuoi cercare non c'è un ponte, una facilitazione festiva.
Una che sia una, purchessia.

Magari Confindustria e la Marcegaglia se ne son scordati e ne hanno fatto una questione di principio...
Magari.

Ricorro alle premesse.
Premessa numero uno.
Sono un dipendente pubblico, ministeriale.
Premessa numero due.
Non ho mai guardato, fin ora, il calendario delle festività perché ero convinto che "quando arrivano arrivano".

Ok.
Arriva una circolare in ufficio che specifica che la festività nuova del 17 marzo NON è, come immaginavo, un regalo "Una tantum".
Ciascun ministeriale la leverà dal mucchio delle proprie ferie.
Specifico.
Nessuno ci ha dato un giorno di ferie in più.
ok. Siamo obbligati a spendere un giorno delle nostre ferie il 17 marzo.

Non è un giorno in più ma è obbligo di usare un giorno di ferie personali in quella data.


Non è un giorno in più ma è obbligo di usare un giorno di ferie personali in quella data.


Non è un giorno in più ma è obbligo di usare un giorno di ferie personali in quella data.

Credo di essere chiaro e le ripetizioni del concetto non sono refusi ma desiderio di ribadire.
Io, scioccamente ascoltando polemiche, pensavo che lo Stato, per i suoi 150 anni mi regalasse una festa...
Prescindendo da una delusione da vetero scolaretto lascio a voi le considerazioni del caso.
Mi permetto di lasciarvi solo questa, lieve, traccia.
Me lo consento in quanto OBBLIGATO a prendere un giorno di ferie il 17 marzo.
Ok.
Scommetto sulla intelligenza di chi ha la pazienza di seguirmi (o la pazzia) e non declino oltre.


Ok








Vi invito a trarre conclusioni.
Per favore...

Auguri a tutti e all'Italia (ce ne è bisogno)
emmevu



Di canzone in canzone
di casello in stazione
abbiam fatto giornata
che era tutta da fare
la luna ci ha presi
e ci ha messi a dormire
o a cerchiare la bocca
per stupirci o fumare
come se gli angeli fossero lì
a dire che si
è tutto possibile

Buonanotte all’Italia deve un po’ riposare
tanto a fare la guardia c’è un bel pezzo di mare
c’è il muschio ingiallito dentro questo presepio
che non viene cambiato, che non viene smontato
e zanzare vampiri che la succhiano lì
se lo pompano in pancia un bel sangue così
Buonanotte all’Italia che si fa o si muore
o si passa la notte a volerla comprare
come se gli angeli fossero lì
a dire che si
è tutto possibile
come se i diavoli stessero un po’
a dire di no, che son tutte favole

Buonanotte all’Italia che ci ha il suo bel da fare
tutti i libri di storia non la fanno dormire
sdraiata sul mondo con un cielo privato
fra San Pietri e Madonne
fra progresso e peccato
fra un domani che arriva ma che sembra in apnea
ed i segni di ieri che non vanno più via
di carezza in carezza
di certezza in stupore
tutta questa bellezza senza navigatore
come se gli angeli fossero lì
a dire che si
è tutto possibile
come se i diavoli stessero un po’
a dire di no, che son tutte favole


10 marzo 2011

pilota di guerra


Io ero un ventottenne.
Ero neo laureato architetto e mi trovavo soldato, malgrado tutto e malgrado me.
Questa canzone.
Il silenzio beato dopo i doveri.
Cuffia dopo il silenzio, dopo il giorno, dopo tutto.
Steso in branda, tra le altre canzoni, c'era questa.
So che è un piccolo ricordo personale che pochi possono condividere ma, intanto, siamo ciò che facciamo e ciò che ascoltiamo.
Anche se non serve capire più di tanto, grazie a Francesco De Gregori e a quella che, per me, è una delle sue canzoni più belle.
Straordinario omaggio a chiunque abbia saltato dal suolo, si sia staccato, abbia volato.
MV



Non per entrare nel merito del motore,
ogni motore ha una musica e io la so.
Così per sempre nel vento la farò cantare,
per questa mia povera terra da sud a nord.
E quanto è solo un uomo lo sa solo Dio,
mentre volo sopra le ferite della città.
E come un grande amore gli dico addio,
e come è solo un uomo lo so solo io.