marco valenti scrive

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31 ottobre 2013

Klaxon ti odio

Vespe a Roma - Gianicolo - "il fontanone" - 2013


In America, nel 1908, il signor Miller Reese Hutchinson inventò un dispositivo elettromeccanico e lo brevettò. 
I diritti sul dispositivo arrivarono nelle mani di una azienda di Newark che nel 1914 ne iniziò la commercializzazione: la ditta si chiamava Klaxon.
In Italia, oggi, particolarmente nelle grandi città qual è la mia, l’uso di questo dispositivo di segnalazione acustica che ha preso il nome dalla ditta Klaxon e che perciò clacson si chiama, è diventato una follia.

Io ho in odio il clacson.


Non tutti i dispositivi di segnalazione acustica sono uguali, come mostra chiaramente e scientificamente il video riportato: alcuni sono più forti e nocivi e inducono un guidatore di Vespa al sobbalzo. 
La cosa può avere un certo profilo di rischiosità.

Diversi anni fa, guidavo un altro scooter, c’era una moto che mi seguiva strombazzando continuamente. 
Pensando che il guidatore volesse avvisarmi di qualcosa che mi riguardava (perdi olio/benzina, stai prendendo fuoco, c’è un serpente attorcigliato alla tua sciarpa, fermati: dietro l’angolo ci sono dei banditi armati, ecc.) ho rallentato e mi sono girato per interrogarlo.
Di fronte a me, fatalmente sulla mia traiettoria e dopo una curva a sinistra, un’auto in seconda fila. 
La seconda fila selvaggia è un’altra piaga che affligge noi scooteristi (ma non solo) e casomai ne parliamo un’altra volta. 
Fatto sta e fu che tamponai giocandomi parafango anteriore e forcella.
Il motociclista che mi seguiva aveva, semplicemente, premura.

Ormai il clacson ha su di me l’unico potere di irritarmi poiché al 99% l’uso che ne viene fatto è – semplicemente – cretino.

“Definizioni; nanosecondo. 
Il tempo che intercorre a Roma tra la segnalazione luminosa verde del semaforo e la segnalazione acustica dal veicolo che segue il tuo”.

Odio a tal punto il clacson che spesso, se costretto a richiamare l’attenzione di qualche altro conducente a me prossimo nel traffico caotico della città, fischio.
Sono in grado di emettere un buon fischio, cosiddetto “alla pecorara”, senza usare le dita.


a proposito di fischi...



28 ottobre 2013

Rimanere

Luo Reed e Luigi Magni.

Carlo Lizzani, Franca Rame, Aldo Reggiani, Giuliano Gemma, James Gandolfini, Anna Proclemer.

Jimmy Fontana, Franco Califano, Little Tony, J.J.Cale, Gianni Ferrio, Armando Trovajoli, Geoges Moustaki, Enzo Jannacci.

Vincenzo Cerami, Tonino Accolla.
Margherita Hack.
Esther Williams e Andrea Brambilla (Zuzzurro).
Pietro Mennea, Emile Griffith.

Ho omesso personaggi della politica e della religione e certamente ho dimenticato qualcuno. 

Cosa hanno in comune?
Sono andati via nell’anno in corso.

Sui social forum abbiamo riempito qualche pagina. 

Come ne ho scordato qualcuno io in questo elenco buttato giù a memoria anche voi vi siete scordati che qualcuno che ho menzionato è morto nel duemilatredici, qualcuno non vi ricordate chi è o perché è stato importante, qualcun altro lo considerate più importante di altri e magari un altro ancora vi era antipatico.

Tutti hanno lasciato qualcosa da ricordare a prescindere dal fatto che siano morti nel duemilatredici e perciò sopravvivono alla retorica che è stata usata e abusata.
Se me ne servo anche io qui, ben sapendolo, è per dire che loro  – come tanti altri – me li ricordo e sono felice di ricordarmeli.

Persone, cose, gesta.
Ricordi, immagini, parole, suoni, pensieri.

Quel che mi ricordo non va via con loro. Resta, in pace. Non mi piace la retorica né gli applausi al funerale o il ricordo immediato e d’attualità frivola.
Tutti però rimangono.

Le loro cose non sono andate via con loro e mi piace dirlo.
Mi sembra un pensiero mal formulato ma esatto.

21 ottobre 2013

Bianco pomice ostriche senza vergogna







Ci sono dei momenti che abbiamo bisogno di coccolarci, di volerci bene e di provare gusto e piacere.

Si tratta di fare qualcosa in controtendenza con crucci e avversità, fatiche e contrattempi.

Una mattina presto in un banco di pesce al mercato le ostriche, freschissime e piuttosto difficili da trovare.





Complice un sabato di ottobre di quelli che solo Roma sa regalare scatta l’idea di un pranzo in giardino.

Sistemata la spesa si va via, velocissimi perché il vino che abbiamo in mente ha bisogno di un passaggio in frigorifero, dagli amici di Organic%l - l’Enoteca vicino casa (*).



Mi affaccio e saluto con un “Oggi abbiamo le ostriche: che mi consigli?”.

Sorriso, saluti, la prima risposta è “Champagne”.

No. Troppo facile: in Francia ci berrebbero un Sauternes”.


Capito. Non ne abbiamo”.

Andiamo a comprare i limoni e torniamo”.

Quindi ci si saluta e andiamo a comprare dei limoni buoni.

Quando torniamo dopo un quarto d’ora sul banco c’è una fila di una mezza dozzina di bottiglie esposte per le nostre chiacchiere e la nostra scelta, da un rosso francese a un paio di spumanti importanti italiani passando per un bianco francese e uno siciliano.

Piacevolissima mezzora in cui si conviene di scegliere un bianco le cui viti affondino in terre di mare e che abbia corpo e profumo. Se la chiacchierata dura soltanto mezzora è per dare un po’ di frigo al vino scelto.



Gli amici di Organic%l  – che ringrazio sempre – oltre che a Roma nel loro negozio sono sul principale social forum a questo indirizzo: https://www.facebook.com/Organicool?fref=ts





Il vino Bianco Pomice 2011, della Tenuta di Castellaro a Lipari è stato tredici gradi e mezzo di sorpresa straordinaria: perfetto con

19 ottobre 2013

Vasco Pratolini, Firenze, 19 ottobre 1913


 

Pratolini era nato a Firenze il 19 ottobre del 1913.

Ci tengo molto a ricordarlo perché da ragazzo, subito dopo aver finito Salgari, Stevenson e Verne, sono venuto su con la lettura di parecchi libri del cosiddetto neorealismo italiano. Pavese, Vittorini e Pratolini – più tardi Calvino -hanno contribuito alla formazione di me adulto e tra i loro libri quelli di Vasco Pratolini sono stati assolutamente quelli che ho prediletto.

Tra tutti “Lo scialo” e, soprattutto, “La costanza della ragione” sono capolavori assoluti.

Prima della sua morte (Roma, 12 gennaio 1991) si diceva stesse lavorando ad un romanzo che, purtroppo, non uscì mai e quindi la sua produzione si è interrotta troppo presto.

Ha scritto comunque pagine straordinarie e a cento anni dalla sua nascita invito tutti a leggerlo o a rileggerlo.
Sono convinto che sia stato un grandissimo della letteratura mondiale e che, a volte, una moderna esterofilia ci fa dimenticare l'importanza di alcuni autori di casa.
A me Pratolini fa molto patria e casa.

“I morti che ci hanno fatto del bene, si ricompensano guardando in faccia i vivi”. Pratolini

 


 

10 ottobre 2013

Torta gorgonzola, pere ...e San Savino


L’Osteria della strega a San Giovanni in Marignano (Rimini) è un bel posto in un bel borgo (il granaio dei Malatesta). Mi è capitato di mangiarci qualche volta e sono bravi e cortesi. Si mangia bene spendendo ragionevolmente ed hanno buoni vini.

Ci vuole un po’ a spiegare cosa c’entri con la torta rustica di questo post ma ci possiamo arrivare con un poco di pazienza. Del resto blog di ricette ce ne sono tanti e la torta salata gorgonzola, pere e noci – miele o non miele – la si trova rapidamente mentre ragionamenti e storie di vini e abbinamenti un po’ meno.

All’Osteria della strega hanno un ottimo Sangiovese a mescita o, per meglio dire, hanno il miglior Sangiovese a mescita che abbia mai bevuto finora. Perciò mi sono incuriosito e ho chiesto da dove venisse.

Mi hanno indirizzato a San Savino (che è sempre in provincia di Rimini ma più vicino a San Leo e a San Marino) dove – in contrada Monte Colombo c’è la “Fattoria del Piccione” ed io ci sono andato.

Tra i loro vini straordinari che ho bevuto il Sangiovese che vendono anche in bag-in-box si chiama San Savino (Sangiovese superiore DOC).

Ne parlo più avanti (va bene) e passo alla ricetta ma sappiate che è con una bottiglia di quel vino che ho deciso di accompagnarla e non mi sono pentito affatto. C’è chi accosta al gorgonzola vini passiti e chi rossi più corposi del sangiovese: io trovo che un vino tipo quello che ho scelto si accosti ed esalti i contrasti propri della ricetta che unisce al formaggio forte la gentilezza del miele e delle pere.

La ricetta è facile.

INGREDIENTI



4 ottobre 2013

Keaton. Ah... Keaton!!!




Buster Keaton.

Era nato il 4 ottobre del 1895.
Un monumento alla mimica, alla tenerezza e alla espressività. 
Solo incidentalmente comico.


Succede che tra artisti uno ne chiami un altro e mi ritrovo Francesco Guccini che decide, improvvisamente, di fare un album dove la musica conta.
Una musica di cui riflettere. Lui la lascia un po’ in sordina nelle registrazioni.
Sbaglia un po’ a rimanere nel consueto ma Signora Bovary è un dio di disco.
Ci mette dentro una canzone, Keaton, che è una coltellata sull’amicizia e… su Keaton.


Lo chiamavamo Keaton quel pianista naturalmente perché  non sorrideva mai mentre noi ci ammazzavamo di risate a vederlo là, come un parafulmine, dritto contro un cielo di guai.

Guai di tasca a violoncello, guai d' amore, guai da vita distratta e disperata che ricamavano dentro al suo stupore una tela affascinante, ma un po' troppo delicata.
 
Keaton si presentò come un jazzista, appassionato e puro, in stile Rete Tre, coi pregiudizi di chi si sente artista perché non faceva soldi, lui, con le canzoni, come me,  ma non mi accompagnava poi malvolentieri, eravamo due grandi acrobati della malinconia e poi, poi dobbiamo farne di mestieri noi che viviamo della nostra fantasia...  

Parlavamo poi molto in quelle sere, in qualche bar, dopo il concerto, insonni e morti,  di politica, ciclismo, storie vere e di come i "Weather Report" erano forti e di come era importante fra la gente non essere solo musica e parole e di come era importante che la gente non fosse una massa di persone sole

Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton?
 Sei poi andato in malora, Keaton?

Lo sai che ti sto venendo a cercare?

Keaton, ah, Keaton, perché stanotte, Keaton
proprio stanotte, Keaton, avrei bisogno di sentirti suonare

S' illuminava poi come di colpo lungo l' effimero consueto di una sera, s' illuminava di una gioia grande quando si avvicinava a una tastiera e preferiva quelle un poco usate, quelle in cui tutti mettono le mani, quelle ingiallite dal tempo, un po' scordate dall' ignoranza e dalla passione degli umani…

E poi una volta abbiamo litigato per una donna prima sua e poi mia, 
lui coi suoi guai, io col mio quasi peccato, sconfitti entrambi dalla gran malinconia, 
ci siamo persi quasi senza una parola, ma tutti e due con più rabbia che rimpianto, come i bambini che si fan dispetti a scuola, come due vecchi che si sono amati tanto…

Poi ho provato a rintracciarlo dappertutto,
 chiedendo a più d' un dirigente supponente,
 telefonando all'Arci-caccia, all'Arci-tutto,  ma di Keaton sembra non sia rimasto niente.

Se se ne parla è nel ricordo di un momento, qualcuno dice che l' ha visto, ma lontano, e tutti, tutti con un gran sorriso spento come per dire:
 "Era un ragazzo troppo strano”.

Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton? Se mi vedessi col mio trench stile Bogart, Keaton, sotto la pioggia che ti vengo a cercare.


 Keaton, ah, Keaton, perché mi manca, Keaton, questa notte mi manca la tua voglia di star qui a suonare…

E finalmente un chissacchì non mi delude, forse, però non sa, probabilmente,  è in una provincia lontana come una palude dai nostri discorsi di suonare fra la gente. 

Una provincia come una sconfitta, meno che essere una minoranza dignitosa, e una palude è certo troppo fitta di voli di zanzara per suonarci qualche cosa…

Lo trovo e sembra che non sia più Keaton,  anche se è contento di vedermi. "Sembrava facile toccarlo con un dito", dice, "ma il cielo ci ha voluto tutti fermi”.

E finalmente ride, ma ride tanto ed è ingrassato e giura troppo che non sta poi male, 
il jazz ormai se l' è dimenticato:

ci son parole, tempi e ritmi anche dentro un ospedale.

E nel lasciarmi all' inizio della sera

"E' come", dice, "alla fine del cinema muto,   c'è il sonoro, non serve una tastiera..."
 Ci salutiamo nel silenzio più assoluto.
Ed esco fuori con i miei giornali e non ho voglia di ridere per niente, ho un treno che mi aspetta alla stazione, mi dà fastidio anche il rumore della gente... 

Ah, Keaton, Keaton! 

Keaton, quello vero, l' ultima volta che l' hanno visto passeggiava lungo le strade e per il vento di Roma durante le pause di un film con Franchi e Ingrassia.



Aveva in corpo mille litri di alcool,  la faccia la solita, senza allegria;  si ubriacava ogni giorno con la troupe borgatara alla faccia della cirrosi epatica, perchè lui ci teneva al suo pubblico, più che al suo fegato, e gli elettricisti sono gente simpatica; 

gli urlavano infatti "anvedi s'è forte 'sto Keaton!” bevendo il bianco misterioso dei colli di Roma o quello forte del sud che fa assaggiare l' infinito a tutta la gente di bocca buona.

2 ottobre 2013

Inquietanti investigazioni

 
Solo una precisazione.
Dopo la pubblicazione del post in cui parlavo di quanto accaduto con il mio libro Cometa e bugie, sotto il titolo "disonesti, furbetti, finti editori", diverse persone hanno spontaneamente indagato.
 
Quel che ne sarebbe uscito somiglia a un verminaio.