marco valenti scrive

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28 ottobre 2011

Trony Manero e la febbre del giovedì mattina


Il fatto, raccontato a beneficio di chi non è di Roma, è che giovedì 27 ottobre c’è stata l’inaugurazione di un enorme supermercato dell’elettronica, cinquemila metri quadrati, sbandierato in pubblicità da tempo ovunque.

Il fatto è che la viabilità, attorno alla zona prescelta è una strozzatura, un imbuto per chi entra a Roma da una vasta zona a nord. Il fatto è che, per via delle promozioni annunciate per l’apertura, c’era gente accampata dalla sera prima e quindi la notizia è che Roma, il 27 ottobre 2011 è stata paralizzata.

Il fatto di cronaca lo leggete, per esempio, qui:

http://www.paesesera.it/Cronaca/Apre-Trony-a-Ponte-Milvio-Roma-nord-in-tilt

Inferociti i pendolari che sono arrivati al lavoro con ore di ritardo;

il sindaco vuole chiedere i danni;

qualcuno osserva che dare i permessi per una inaugurazione di giovedì mattina sia stata una follia;

altri che questo prova che abbassare i prezzi porti a vendere.

Si potrebbe (forse si dovrebbe) parlare di tutto questo ma la considerazione che vorrei fare è un’altra.


Per me è importante.

Il punto vero è che siamo un Paese (chiedo scusa per la maiuscola) dove “qualcosa”, un complesso di cose, spinge delle masse di persone ad accalcarsi, spintonarsi, venire alle mani, spaccare vetrine, paralizzare una città, per accaparrarsi sottocosto prodotti tecnologici quali l’ultimo telefono o l’ultimo televisore.

Non parlo di politicizzati (?) “black-block” che danno fuoco alle macchine di poveracci, rendendo vano il senso di indignazione di una moltitudine di autoconvocati di poche settimane prima, ma di vandalismo da società del libero mercato, del libero arbitrio e del consumo forsennato.

So, ovviamente, di parlare da brontosauro nel definire telefono un oggetto che dedica alla telefonia una parte residuale della sua tecnologia avanzata e mi rendo conto che le ultime generazioni di televisore sono di altissimo livello qualitativo: sono certamente fuori moda se resto tra quelli che usa il telefono per telefonare e, pur pagando il canone televisivo, non ha in casa un apparecchio televisivo (ma queste sono altre storie).

Il punto vero è che siamo un luogo incivile in cui ci si azzuffa per degli oggetti; il punto vero è che si viene indotti al bisogno di cose costosamente superflue in una fase storico economica in cui sarebbe molto più utile mettere ordine alle priorità delle proprie vite e delle proprie tasche.


Siamo un luogo precario ma di lusso.

Un posto traballante ma di design.


Meritiamo il baratro perché sappiamo precipitarvi con stile?

Egoisticamente propenderei per lasciar tuffare sconsideratamente chi non apre gli occhi e si contorna di eleganti inutilia e salvarmi con quelli che cominciano a comprendere che i termini di decrescita sostenibile, equità dei bisogni collettivi, redistribuzione delle priorità nella vita siano valori e non mode depressive e sinistramente sinistrorse.

In questa mia affermazione tuttavia ci deve essere una falla se mi vergogno per quello che è successo pur avendolo solo letto sui giornali.

Ascrivo tutto all’età che avanza o al non bisogno di essere di moda e alla moda e, sempre ingenuamente perplesso, basito, continuo a pensare che una maggioranza possa cominciare a pensare.

Spero non mi facciate sentire troppo solo.

23 ottobre 2011

Tramandare la realtà

Non credo che si debba andare avanti con le nostalgie.

Io ne ho, ma sono cose personali e non inficiano quel che deve essere fatto e detto. Ho passato il mezzo secolo, ho le radici nel novecento, ho gioito e partecipato a tante vicende storiche, politiche, economiche che hanno attraversato il mio Paese, l’Europa e il mondo cambiandone i connotati in modo assoluto. Definitivo.

Credo che quelli che vanno avanti abbarbicati a quel che è stato sbaglino grossolanamente. C’è chi ancora parla di comunismo e fascismo come se fossimo nel pieno della Guerra fredda, c’è chi continuamente ripete lezioni e cerca rivincite e legittimazioni.

È un mondo nuovo.

Non serve.

Allo stesso tempo mi sento una responsabilità generazionale che non credo possa essere disattesa, soprattutto in un momento in cui chiunque può dire qualsiasi cosa, sia vera o sia falsa, avendo titolo per farlo: la responsabilità che sento è quella di dire, con molta semplicità, quel che è stato senza tema di essere smentito.

Le cose sono come sono. Le cose sono state come sono state e chi ne ha memoria di cronaca e di vissuto ha il dovere di preservare, con la massima serenità ma insieme con la massima fermezza, la realtà dei fatti.

Lo scorso mese Attilia, una mia amica di novantanove anni, mi raccontava di quando era giovane e partecipò alla occupazione delle casa popolari del quartiere Tufello, a Roma. Per me è stata la meraviglia di un racconto in bianco e nero, come i film del nostro neorealismo. Un racconto; una testimonianza.

Possiamo anche non avere la propensione alla narrazione ma dobbiamo mantenere fedeltà ai fatti e tramandarli. Tanto più è indispensabile in luoghi dove le bugie non hanno gambe corte ma lunghissime e l’informazione è appannaggio di chi ha la voce più grossa.

Sommessamente allora, ma con petulante continuità, sento il dovere (oltre che il diritto) di raccontare a chi ha sedici, diciotto, venti anni cosa è stato e, soprattutto cosa non è stato, riferendomi ad un episodio pubblico politico piuttosto che di costume.

Che non venga fatto da chi ha maggiore autorità ed autorevolezza di me mi scandalizza, ma non è importante.

Essenziale, invece, è che chi ha memoria buona ricordi a tutti con pacata esattezza come andarono le cose in varie occasioni, mantenendo chiaro il ricordo delle stesse ed evitando che vengano ribaltate per usi vari.

Chi visse l’olocausto si è levato, finché ha avuto voce e vita, contro i revisionisti che negavano lo sterminio e ha fatto bene. È stato memoria, storia, verità.

Ognuno può regolarsi come crede più opportuno, ovviamente, ma se qualcuno dice una cazzata colossale ci dovrebbe essere qualcun altro a farlo presente: se nessuno lo fa le bugie diventano verità e non è giusto verso chi non ha memoria personale dei fatti accaduti.

Tutto è un grande minestrone precotto secondo le convenienze di chi detiene il potere di cucinarcelo come più gli conviene.

Credo non sia possibile che questo venga permesso. Per giustizia e per esattezza.

Nessuno vigila le informazioni? A nessuno importa l’esattezza di quanto viene autorevolmente detto?

A me, se si travalica ogni liceità, importa.

Invito chi ha memoria ad investire in verità raccontandola a chi non c’era, o non ricorda, o ha interesse a tramandarla diversamente da quel che realmente fu.

Termino con un esempio. Ho aspettato alcuni giorni per portare questo esempio. Giorni nei quali ho atteso, invano, che qualcuno purchessia, avente voce nel mondo della comunicazione, parlasse.

Io affermo, con la convinzione di chi ha semplicemente memoria, che tangentopoli non fu – assolutamente – un golpe giudiziario e che chi dice questo dice una cosa non vera e pericolosissima che va confutata con la massima democratica energia possibile in ogni sede. Il Presidente del Consiglio ha detto che fu golpe giudiziario; nessuno (dalle opposizioni, dalla stampa, dalla magistratura, dalle istituzioni) ha smentito o confutato questa affermazione.

Meno viene fatto da chi dovrebbe, più è necessario ed urgente farlo da soli. Per evitare mistificazioni, equivoci, furti di verità. Poco importa che io, come qualcuno mi ricorda, non sia nessuno. C'ero e mi ricordo bene.

Vorrei molto che questo post, che non vuole essere assolutamente un post politico ma un post di amore e di verità, di impegno e di civiltà, fosse commentato e riproposto da chiunque ne condivida il senso.

21 ottobre 2011

poche cose per gli amici di qua



Poche cose come se fossimo al bar.



(nella foto sono in un quadro di Hopper; mi si riconosce perché sono quello senza cappello).



Leggo, con tanto piacere, tutti i commenti ai post: è rarissimo che intervenga ma è un piacere di cui vi ringrazio.



Chi non mi segue da tanto può, se ne ha voglia, fare un giro nel blog a ritroso scegliendo una delle Tag a destra tra le voci ARGOMENTI. Si può essere maggiormente interessati alle ricette, piuttosto che ai viaggi, alla musica, ai sassolini dalle scarpe.



Cliccando su ogni immagine la potete vedere più grande: in certi casi vale la pena.



I LUOGHI FREQUENTATI sulla destra sono posti belli nel web, blog che amo, in cui mi piace andare e sono lì soprattutto per mia memoria. Non sono per niente male e non c'è niente di male se ci fate un giro pure voi. Io li frequento molto spesso (anche se il più delle volte non lascio traccia).



Scordo certamente qualcosa ma, concludendo la chiacchiera da bar, volevo segnalarvi che - prima di uscire da qui - potreste cliccare il bottone sulla destra con sopra scritto Vota questo sito!



Sta a destra, subito sotto POST PIU' POPOLARI.



Grazie e un abbraccio.



emmevù

19 ottobre 2011

Le donne africane e il Nobel

Il Nobel per la Pace 2011 è stato assegnato a due donne africane e una yemenita: la presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf, la sua compatriota Leymah Gbowee e la yemenita attivista per i diritti civili Tawakkul Karman.

Vediamo chi sono?

http://it.wikipedia.org/wiki/Ellen_Johnson_Sirleaf

http://it.wikipedia.org/wiki/Leymah_Gbowee

http://it.wikipedia.org/wiki/Tawakkul_Karman

Quale il senso di questo riconoscimento?
La motivazione ufficiale del Nobel della Pace afferma che l’assegnazione del premio alle tre donne è
“per la loro lotta non-violenta per la sicurezza delle donne e per il loro impegno per i diritti delle donne alla piena partecipazione nella costruzione della pace”.
Tutte le donne africane meritano il Nobel: per la pace.


Il video dell'inno che Amii Stewart ha dedicato alle donne africane e alla Campagna Noppaw. Musica e arrangiamenti di Paolo Casa. Prodotto da Paolo Casa e Valerio Galli. Immagini e montaggio a cura di Marco Mensa ed Elisa Mereghetti, della società di produzione televisiva Ethnos.

“Questo premio riconosce ciò che le attiviste e gli attivisti per i diritti umani sanno da decenni: che la promozione dell’uguaglianza è il fondamento per la costruzione di società giuste e pacifiche” - ha dichiarato Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International. “Il lavoro senza sosta di queste e di innumerevoli altre attiviste ci porta più vicini a un mondo nel quale le donne vedranno protetti i loro diritti e avranno maggiore influenza a ogni livello di governo.
Oggi non celebriamo solo tre importanti donne, ma tutte le persone che lottano per i diritti umani e l’uguaglianza all’interno delle loro società.
La scelta di quest’anno del comitato Nobel incoraggerà le donne di ogni parte del mondo a proseguire la lotta per i loro diritti”.

Condividiamo tutti la gioia per quello che è successo.
Emmevù

13 ottobre 2011

N come nemico



Il saggio impara molte cose dai suoi nemici. Aristofane, Gli uccelli.

Nulla piace agli uomini quanto avere dei nemici e poi vedere se sono proprio come ci s’immagina. Italo Calvino, Il visconte dimezzato.

Un uomo si giudica dai suoi nemici non meno che dai suoi amici. Joseph Conrad, Lord Jim.

Un loro proverbio dice: “Lasciati un nemico per la vecchiaia”. Ennio Flaiano, Supplemento ai viaggi di Marco Polo.

Non c’è alleato più prezioso di un nemico cretino. Indro Montanelli, “Il Giornale”, 6 gennaio 1984.

Era uno dei miei più intimi nemici. Dante Gabriel Rossetti, frammento.

Non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri nemici. Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray.

10 ottobre 2011

Mezza pensione, una cena, due anziane romane, un rosso di Montefalco





La combinazione di bassa stagione e mezza pensione, se il posto scelto è adeguato, offre parecchi vantaggi dal punto di vista squisitamente culinario. Non essendo costretti a dare soddisfazione a gusti troppo diversi i cuochi possono ammannire piatti selezionati e di sicura riuscita. In più si riesce ad evitare la liturgia del buffet, troppo spesso ricettacolo di umanità golosa ed avida di riciclati avanzi.




I tavoli apparecchiati sono pochi e vicini, i camerieri si muovono con agio e professionalità, c’è poco rumore di fondo e i commensali dialogano con un tono di voce adeguato.
Mentre la cena si preannuncia un momento di delizia, alle mie spalle due signore, romane per intonazione ed over settanta (avrei scoperto più tardi) alla vista, riescono ad attirare l’attenzione delle mie povere orecchie.




Come spesso capita ai deboli di udito parlano a voce alta ma, soprattutto, si rendono protagoniste di una serie di siparietti con il cameriere degni di essere riportati.
La cena prevede che i commensali scelgano tra due primi piatti, due secondi, due contorni e due dolci. Bevande a parte.








Le signore in questione non si adeguano alla nostra scelta di strangozzi con erbette locali e pomodoro filettato a crudo, di tagliata di manzo e di insalata mista seguita da babà con crema e, contemporaneamente, rifiutano anche le rispettive alternative adducendo una lunga serie di problemi digestivi e più in generale di salute.
Vorrebbero spaghetti all’inglese, vitello ai ferri e patate arrosto o lesse.





Siamo costretti all’ascolto e non riusciamo a non commentare che un soggiorno a “villa arzilla” sarebbe stato più appropriato.





Sul primo il cameriere strappa un accordo per gli strangozzi conditi con olio dop e parmigiano. Riporto da Wikipedia (che possa non chiudere mai e poi mai) le prime parole sugli strangozzi a beneficio di chi non sa e a comune denominatore per tutti. Lascio selezionabili le parole sottolineate che aprono altre pagine della libera enciclopedia giusto per sottolinearne la struttura adorabile.







Gli strangozzi sono una

pasta lunga a sezione quadrata o rettangolare, tipica del comprensorio Spoletino ma diffusi anche in tutta l'Umbria, nelle Marche e nel Lazio. Sono chiamati anche, a seconda delle zone, stringozzi, strengozzi, strengozze, strozzapreti o strangozzo, come nel ternano, ciriole. L'aspetto è molto simile a quello dei tagliolini ma, a differenza di questi, non sono all'uovo. Prodotto "povero" che, secondo la scheda di prodotto agroalimentare tradizionale, va realizzato a mano stendendo una sfoglia, spessa tra i 2 e i 4 mm, di pasta di farina di grano tenero, acqua ed eventualmente sale. La sfoglia è poi tagliata a strisce di circa 4 mm di larghezza e la lunghezza di circa 30 cm. Il prodotto può essere realizzato anche industrialmente con semola di grano duro tramite un processo di estrusione o laminazione, e ammatassato nella tipica forma ad 8.


Comunque mentre noi attacchiamo una monumentale tagliata di manzo al sangue le signore vengono servite del primo piatto. Una delle due si alza per prendere dal nostro tavolo il parmigiano scusandosi e adducendo la scusa che nel loro si sarebbe posata una mosca. Mosche non sembrano esserci, ma se una eventuale si posa al loro tavolo c'è di che trarre conclusioni. L’idea è che, in realtà, la signora cerchi sponda ai roro rimbrottii ma un mio sorriso e un mio cenno silente stoppano qualsiasi conversazione. “Non sia mai” penso “dovessero vagamente sospettare che siamo concittadini: Iddio me ne scampi!”.




Quando il primo viene servito la signore lamentano che sia troppo al dente e lo rimandano indietro. Nessun altro commensale trova nulla da dire sulla perfetta cottura degli strangozzi ma il cameriere, pazientemente, ritira i piatti proponendo un piatto di mezze maniche, sempre all’inglese.




I tempi della cena delle due signore si allunga, ovviamente, e questo è tema di lamentele – ovviamente a voce alta – nella conversazione delle medesime.




Cito qualcosa, per rendere l’idea.
“Un posto così bello e un servizio così scadente; immangiabili; chissà dove avranno trovato questo cuoco; magari non è neppure italiano; è una vergogna; non si tratta così la gente.”.




La bontà assoluta del pasto, innaffiata da un rosso di Montefalco 2006 Arnaldo Caprai, rende quasi divertente quello che, altrimenti, ci avrebbe infastidito. Si aggiunga quella buona educazione avuta che mi fa, spesso, vergognare di essere italiano all’estero e, a volte, di essere romano quando altrove da Roma.








Le signore, nel prosieguo, sono andate lamentandosi dei tempi del servizio, della qualità del vitello, della cottura del vitello, dell’incredibile tempo occorrente per lessare patate.
“Dobbiamo chiamare chi di dovere” spesso ripete quella più arrabbiata.




Prima che una signora lasci in anticipo la sala facendo sapere a tutti che attendeva una telefonata, le due chiamano il cameriere, tra la patata e il dolce.




Gli spiegano come cucinano loro, come si dovrebbe cucinare, chiedono di vedere il cuoco (e per fortuna viene loro negato), raccontano di quanto il posto sia bello e di come loro siano democratiche, di come la bellezza dei luoghi e l’essere democratici possa far passare un disservizio.




Lasciano l’incolpevole cameriere, che nella conversazione dice pochissime parole di circostanza, con una perla finale: “La democrazia è bella; noi siamo per la democrazia; la democrazia va saputa meritare”.





Il babà con la crema ci fa digerire perfino questa chiosa: ho detto tutto!






Due righe e un paio di link per il Rosso di Montefalco: 13°, di ottimo corpo, ottenuto con uve Sangiovese, Sagrantino e Merlot, è un vino che, a mio avviso, chiama piatti saporiti, primi ricchi, carni, salumi e formaggi ben stagionati.






www.arnaldocaprai.it




6 ottobre 2011

Charles-Edouard Jeanneret-Gris (...Le Corbusier)





































“L'architettura è il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi sotto la luce.”
LeCorbusier – Verso un’architettura.




Oggi, 6 ottobre, nel 1887, nasceva in Svizzera Le Corbusier.





Per me che sono un architetto è il papà (insieme a pochi altri) della architettura moderna: i suoi progetti di architetture, di mobili, di esterni come di interni, la sua visione di una architettura che dovesse partire dalle misure dell’uomo e dai suoi bisogni (le modulor) hanno rivoluzionato il mondo dell’abitare e del costruire.




I suoi “cinque punti dell’architettura” sono, essi stessi, una rivoluzione rispetto al mondo prima di lui.




Qualcuno, sbagliando, lo reputa il primo responsabile di molte (troppe) brutture che si vedono in giro: ha indicato strade nuove e altri, senza qualità, han fatto scempi.
Conservo con cura la sua opera completa in cinque volumi.




Tenete conto che le immagini di questo post sono dagli anni '20 (tranne la straordinaria Cappella di Ronchamp che è dal 1950).




Oggi lo ricordo e invito chi lo conosce a ricordarlo nel giorno del suo compleanno e chi non lo conosce ad incuriosirsene un po'.
Un genio.




4 ottobre 2011

Ironico: non credi?

Un vecchio compì 98 anni ,vinse alla lotterie e morì il giorno dopo .
È una mosca nera nel tuo Chardonnay , è un assoluzione della pena di morte due minuti troppo tardi : è ironico,non credi?
È come la pioggia il giorno del tuo matrimonio; è un giro gratis quando hai già pagato;è il buon consiglio che non hai seguito. E chi ci avrebbe pensato.. ,funziona!
Mr Gioco Sicuro aveva paura di volare, fece la valigia diede il bacio d’addio ai suoi figli. Aspettò tutta la vita per prendere quel volo e mentre l’aereo si stava per schiantare lui pensò: "bene non è perfetto?".
Ed è ironico,non credi?
È come la pioggia il giorno del tuo matrimonio; è un giro gratis quando hai già pagato; è il buon consiglio che non hai seguito. E chi ci avrebbe pensato,funziona. La vita ha un bel modo di infierire su di te quando pensi che tutti è okay e tutto sta andando bene. E la vita ha un bel modo di aiutarti: credi che tutto sia andato male e tutti ti scoppi sulla faccia.
Un ingorgo quando sei già in ritardo; un cartello “no smoking”durante la tua pausa sigaretta; è come diecimila cucchiai quanco tutto ciò di cui hai bisogno è un coltello; è conoscere l’uomo dei miei sogni e dopo incontrare la sua bellissima moglie. Ed è ironico,non credi?
Un pò troppo ironico,lo credo davvero. È come la pioggia il giorno del tuo matrimonio; è un giro gratis quando hai già pagato; è il buon consiglio che non hai seguito. E chi ci avrebbe pensato,funziona. La vita ha un bel modo di infierire su di te e la vita ha un bel modo di aiutarti.


(Musica con un senso – Alanis Morissette: ironic – 1995 – album: Jagged little pill).



An old man turned ninety-eight

He won the lottery and died the next day
It's a black fly in your Chardonnay
It's a death row pardon two minutes too late
Isn't it ironic don't you think
CHORUS:It's like rain on your wedding day
It's a free ride when you've already paid
It's the good advice that you just didn't take
Who would've thought it figures

Mr Play It Safe was afraid to fly
He packed his suitcase and kissed his kids good-bye
He waited his whole damn life to take that flight
And as the plane crashed down he thought
"Well isn't this nice"
And isn't it ironic don't you think?
REPEAT CHORUS
Well life has a funny way of sneaking up on you
When you think everything's okay and everything's going right
And life has a funny way of helping you out when
You think everything's gone wrong and everything blows up
In your face
A traffic jam when you're already late
A no-smoking sign on your cigarette break
It's like ten thousand spoons when all you need is a knife
It's meeting the man of my dreams
And then meeting his beautiful wife
And isn't it ironic don't you think
A little too ironic and yeah I really do think
REPEAT CHORUS
Life has a funny way of sneaking up on you
Life has a funny, funny way of helping you out
Helping you out

1 ottobre 2011

Autobus




Provo un senso di disagio, quasi di soffocamento.





Siamo tutti sullo stesso autobus e il guidatore, sconsideratamente, invece di guardare la strada si fa gli affari suoi.



Il tragitto è impervio e pericoloso.Nessuno riesce a convincere il guidatore ad accostare e lasciare la guida del mezzo.




Chi riesce scende al volo o, comunque, progetta la fuga.





Tutti i passeggeri – o quasi tutti (certamente la maggioranza di essi) – si rende conto del pericolo.





Sono passeggeri disorganizzati, impotenti e divisi: ciascuno vede se stesso in pericolo ma nessuno pare rendersi conto che il pericolo riguarda tutti.






Un paio di amici del conducente provano a rassicurare i passeggeri che va tutto bene e che l’autista resta certamente il migliore in circolazione.





Nessuna soluzione condivisa e l’autobus, imboccata una discesa ripida e tortuosa, sbanda prendendo una velocità troppo elevata.










Brutta situazione?





Vista sui giornali.












Ma non è, purtroppo, un autobus di linea.













Questa è l’Italia, amico mio…