marco valenti scrive

marco valenti scrive

15 febbraio 2019

"Al posto di"





AL POSTO DI




Volevo dire una cosa poco popolare.

"Al posto di" non funziona e non è un argomento spendibile se si sta parlando seriamente.
Conto di articolare questo concetto meglio possibile (“al posto di” dire fesserie) ma, sono certo, non funzionerà comunque.

Le cose che dirò qui sono una minima parte di quelle che ho in ghirba.

Serve parlare per esempi e, per esempio, 
per fare un esempio serve parlarne.
“A che serve un servo che non serve?”(Cit.)
Parlare al posto di tacere.

In passato, remoto, (per esempio) qualcuno disse che era meglio potenziare le tratte dei pendolari "al posto di" fare l'alta velocità ferroviaria Milano Roma e ci furono grosse polemiche sulla variante di valico.
Oggi chiunque abbia un grammo di sale in zucca è felice di fare Roma-Venezia in un comodo treno frecciarossa invece di un più inquinante e costoso volo, con la soddisfazione della più bella uscita da una stazione ferroviaria che ci sia.
L’alta velocità ferroviaria ha fatto sì che tratta aerea Milano Roma, praticamente, non esista più e chi si è accanito nel proporla ha visto i propri aerei vuoti (con delle conseguenze societarie).

I pendolari restano ai piedi di una croce ma qualsiasi pendolare, dove può, usa l'alta velocità.



"Al posto di" peggiora, come termine di paragone, quando affronta temi che coinvolgono accordi internazionali o scommesse di investimento sul futuro. 
Fare un accordo vuol dire prendere degli impegni e se recedi l’altro contraente ha un danno e, correttamente, può avanzare diritti di rivalsa su di te. 
Scommettere sul futuro vuol dire essere preparati a cogliere al meglio opportunità che potranno venire e far da oggi quanto possibile per favorirle.

Roma (sempre per esempio) ha deciso di ritirare la sua candidatura per le olimpiadi perché, "al posto di" interventi sugli impianti sportivi, sarebbe stato meglio investire risorse sulle periferie, la cura del territorio, i bisogni della gente. Ha ritirato la propria candidatura ma non sono arrivati benefici di alcun genere al posto di. Quindi nessun beneficio per la città.

14 febbraio 2019

Capolinea





Roma
Piazza Cavour
 Gennaio 1985

la fermata  dell'autobus n.34 
dopo la nevicata

foto di Marco Valenti
(Nikon FM)






Com'era Roma all'epoca?

Bella.

E tu?

Giovane.

5 febbraio 2019

Riabitare l'Italia





RIABITARE L'ITALIA
Le aree interne tra abbandoni e riconquiste

Progetto di: Filippo Barbera, Fabrizio Barca, Giovanni Carrosio, Domenico Cersosimo, Antonio De Rossi, Carmine Donzelli, Arturo Lanzani, Laura Mascino, Pier Luigi Sacco

A cura di Antonio De Rossi

Progetti Donzelli
2018, pp. VIII-594, rilegato
ISBN: 9788868438494

«Invertire lo sguardo. 
Guardare all’Italia intera muovendo dai margini, dalle periferie. Considerare le dinamiche demografiche, i processi di modernizzazione, gli equilibri ambientali, le mobilità sociali e territoriali, le contraddizioni e le opportunità, per una volta all’incontrario. 
Partendo dalla considerazione che l’Italia del margine non è una parte residuale; che si tratta anzi del terreno forse decisivo per vincere le sfide dei prossimi decenni.»

Innanzi tutto che cosa si intende per “aree interne”? 
Cerco di spiegarlo in breve. 

Per ogni Comune italiano è stata misurata la distanza dai principali centri di offerta di servizi essenziali (salute, istruzione, mobilità collettiva), la perdita demografica negli anni, la perdita di superficie agricola utilizzata per arrivare ad una classificazione di perifericità piuttosto scientifica.

Ne è derivato che risultano aree interne, periferiche, il 53% dei comuni (sono in tutto 4.261), che ospitano il 23% della popolazione (oltre 13 milioni di abitanti), ed occupano una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale.

Questo saggio è interessantissimo e fortemente attuale, utile a pensare al nostro Paese – ai suoi pieni e ai suoi vuoti – con occhi un po’ più consapevoli e sguardo più educato. 
Non è un manuale ma raccoglie e analizza storie e dati difficilmente controvertibili fino a consentire ad un lettore attento di maturare opinioni o anelare traiettorie di sviluppo territoriale sensate.

Per capirci: non per luoghi comuni o per sentito dire.
Leggere, informarsi e formarsi è l’unica ancora di salvezza ad un mare mainstream di pronta beva.



Chi legge il mio blog sa che non parlo spesso di libri e che ne parlo a modo mio, senza pretese elevate: questo saggio mi ha tenuto per parecchi giorni lontano da un bel giallo italiano che non vedo l’ora di leggere.
Ma è un testo utile, utilissimo, a pianificatori, paesaggisti e paesologi, urbanisti e ambientalisti, sociologi e statistici, pensatori e sognatori.

Perché vi piaccia non serve che abitiate la periferia del mondo ma che vogliate guardare il mondo che abitate anche (almeno anche) dal suo bordo oltre che dal centro.


Riporto di seguito utili informazioni dal sito dell’Editore Donzelli.

A dispetto dell'immagine che la vuole strettamente legata a una dimensione urbana, l'Italia è disseminata di «territori del margine»: dal complesso sistema delle valli e delle montagne alpine ai variegati territori della dorsale appenninica, e via via scendendo per la penisola, fino a incontrare tutte quelle zone che il meridionalismo classico aveva indicato come «l'osso» da contrapporre alla «polpa», e a giungere alle aree arroccate delle due grandi isole mediterranee.

Sono gli spazi in cui l'insediamento umano ha conosciuto vecchie e nuove contrazioni; dove il patrimonio abitativo è affetto da crescenti fenomeni di abbandono; dove l'esercizio della cittadinanza si mostra più difficile; dove più si concentrano le diseguaglianze, i disagi. 
Sommandole tutte, queste aree - «interne», «fragili», «in contrazione», «del margine» -, ammontano a quasi un quarto della popolazione totale, e a più dei due terzi del l'intero territorio italiano.