marco valenti scrive

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16 novembre 2018

Norwegian wood



Provo a essere impopolare dando una mia personale impressione su un libro e un autore osannati dai più.

Norwegian wood (subito dopo averlo letto pochi anni fa).

Prima di provare a scrivere qualche pensiero sulla mia lettura avevo deciso di rileggere “Il giovane Holden” di Salinger, del quale ho ricordi estremamente piacevoli ma sbiaditi dal tempo. 

Ho scoperto che non ho più il libro: deve essere rimasto in qualche periodo della mia vita passata. Avevo meno di venticinque anni quando lo lessi e adesso che ho finito il mio primo Murakami ne ho ben più di cinquanta. Queste considerazioni non sono marginali. Avessi letto Tokyo blues (Norwegian wood) appena uscito sarei stato più giovane di ora.
Il giovane protagonista Watanabi mi sarebbe stato più simapatico. Immagino che nella sua vita futura sarà diventato, magari, un ottimo “Stoner” a prescindere dal finale (aperto) di Norwegian wood.
Sia lui che io, che Holden, che Stoner si darebbe un po’ meno rilievo al problema di dove vadano a finire le papere quando gelano gli stagni.
Altra cosa fatta, tra la lettura e queste poche parole, è stata prendere informazioni sia sul web che tra amici lettori sul libro e, soprattutto, sul suo autore. Ricordo bene, almeno nelle ultime due occasioni a Stoccolma, il disappunto di molti sul fatto che – per l’ennesima volta – Murakami non avesse vinto il Premio Nobel per la letteratura. 

Ho provato a capire.
Pare che questo libro, da molti giudicato comunque eccezionale, sia atipico nella produzione del suo autore; meno onirico e molto meno giapponese.