marco valenti scrive

marco valenti scrive

31 maggio 2012

la passione ha un'altra grammatica!


...ma la passione 
ha 
un’altra 
grammatica!!!


(sapevatelo!) 






unica 
talmente nuova da sembrare unica
mi lavero' 

mi vestiro'
per sembrare almeno decente
di fronte a te che sembri unica

mistica
talmente buona da sembrare mistica
santo saro' io preghero'
per sembrare devoto credente
di fronte a te che sembri mistica
ma la passione

 e' un'altra 
grammatica

etica
talmente dritta da sembrare etica
laico saro' e studiero'
la maniera di fare politica
senza toccare la poetica
bella mia
talmente bella 
da fare un'estetica

l'arte faro' e studiero'
la maniera di fare l'
erotico
senza guastare la tua estetica

23 maggio 2012

La teoria della bottiglia

Ciascuno di noi è una bottiglia. Più o meno pieno di cose, da fare e da dire, di bisogno di esternare e comunicare con le altre bottiglie.





Nella formazione cresciamo, da bottiglietta da trentatré centilitri a fiasco da un litro o da un litro e mezzo. Quella è la capacità. Capacità di contenere, di produrre, di offrire, di relazionarsi col mondo liquido che ci circonda.


Adulti facciamo i conti con periodi di disagio che, prima o poi, capitano e a volte si ripetono. Nei momenti di difficoltà siamo più silenziosi, meno brillanti, e soprattutto sentiamo un po’ di fatica e di oppressione.


Allora proviamo ad analizzare la nostra fase di affaticamento e, a volte, frettolosamente ci autodiagnostichiamo un principio di depressione. Altre volte ci viene diagnosticato.


Nella fretta si può commettere l’errore di non considerare il rapporto tra la bottiglia e la quantità in essa contenuta.


Se sei svuotato, sei una bottiglia da un litro ma ne contieni mezzo, svogliato e apatico guardi nel vuoto senza riuscire a trovare ragioni di azione può darsi che tu sia un po’ depresso.


Se invece avresti cento cose da fare e da dire ma una oppressione di vario genere ti impedisce di agire come vorresti non sei depresso ma compresso: sei una bottiglia da un litro che ne contiene uno e mezzo.


Hai accumulato, sei troppo pieno, non hai potuto sversare sul mondo che ti è vicino quanto avresti voluto.


L’unica cosa che accomuna il depresso con l’oppresso (o, meglio, compresso) è un senso di disagio e di inadeguatezza.


Il sintomo, però, non fa diagnosi.


Il rischio è di fare come quello che si sente un po’ strano e va al bar a prendersi un caffè senza sapere se il suo malessere sia da pressione bassa o troppo alta.


Ciascuno fronteggia come meglio può avversità, disagi, contrattempi e incomprensioni: personalmente so di essere un troppo pieno, una bottiglia soltanto da tre quarti che a volte si trova con un litro e mezzo compresso dentro.



Ci ho messo un bel po’ a capirlo però ora lo so con chiarezza e provo, come meglio posso, a raddrizzare le cose.



A volte reputo giusto fermarmi e pensare, con calma, per non scoppiare e in questo modo raramente mi arrabbio veramente.



Vi assicuro, comunque, che la metafora della bottiglia ha una sua logica e funziona: pensateci.


 Voi che bottiglia siete?




19 maggio 2012

Wilson Mizner



Adoro gli aforismi e le frasi che fanno sorridere e pensare. Quando si pensa all’aforisma viene subito in mente Oscar Wilde; mi sono imbattuto per puro caso in una frase, fulminante di tal Wilson Mizner e, con quella giusta curiosità, ho approfondito il personaggio.
Ho trovato degli spunti straordinari.
Mizner (California, 19 maggio 1876 – 3 aprile 1933) è stato una persona quanto meno stravagante e dalla vita intensa ed avventurosa. Scrittore, sceneggiatore, proprietario di un ristorante, gestore dell’Hotel Rand a New York, nato povero e sposato da una ricca, pigro, dedito agli oppiacei, scommettitore incallito: vale assolutamente la pena perdere cinque minuti a leggere su Wikipedia la pagina a lui dedicata.
http://en.wikipedia.org/wiki/Wilson_Mizner


18 maggio 2012

numbers

Ci sono un sacco di regole non scritte, di consigli e di trucchi di cui si serve il "Bravo Blogger".
Girando per la rete, il www, se ne leggono un sacco.
C'è perfino gente che ha guadagnato scrivendo "manuali" su come si fanno le cose, e su come non si fanno.
C'è chi sui social forum posta all'ora giusta per avere la maggiore visibilità e chi aumenta in modo artificioso e artificiale il tiraggio del proprio sito, o Blog, o vita. C'è chi si organizza in squadra per scalare classifiche e chi chiede, più o meno apertamente, aiuto, o voto, o click, o "mi piace".
Chi passa di qui e ci torna sa che non è così in questo blog.
Nessun trucco e nessun inganno ma, semplicemente, il desiderio di condividere impressioni ed emozioni e - quando chi legge fa da sponda - avere un po' di ritorno.
Quelli bravi direbbero feedback.
Ci sono dei momenti che amo condividere, che sia una ricetta o una piccola indignazione poco importa, e trovo stupefacente che i miei piccoli messaggi in bottiglia trovino qualcuno che abbia voglia di raccoglierli.
Resto perfino vagamente dispiaciuto quando un tale "post" viene "cliccato" parecchio soltanto perché c'è una "tag" che tira e mi riprometto di togliere qualsiasi cosa possa essere uno specchietto per le allodole.
Parole che uso con virgolette e ironia perché non mi appartengono.
Ovvio invece che mi sia propria la voglia di raccontare e raccontarmi e raccontarvi.
Incredibile che, addirittura, io scriva cose che possono essere stampate e acquistate con un codice isbn.
(Chi le legge, spesso, ne è contento e questo mi ripaga del tempo adoperato a scrivere).
Ora, aldilà della "fuffa" quel che mi porta a scrivere questo messaggio a voi tutti dedicato è che pochi giorni fa il contatore delle visite a questo blog, una roba che trovate in fondo a destra (un po' come il bagno) ha superato le cinquantamila visite dal primo di gennaio duemiladieci.
Il blog c'era pure prima.
Ha la sua storia.
Solo a un certo punto ho pensato di mettere una cosa automatica a contare.
Però, quando ho visto superare quel numero, ho fatto un po' di conti.
Ci sono state, festività, agosto, domeniche e isole comprese, una madia giornaliera di oltre cinquanta click al giorno su questo blog.
A proposito di "isole comprese" c'è qualcuno che è inciampato in questo blog (certamente per caso e per sbaglio) da posti a me sconosciuti per luogo e per idioma: vorrei poter dire grazie in molte lingua, cirillico incluso, per includere anche quelle pecorelle certamente smarrite.
Ci sono state, statisticamente, migliaia di click al mese.
Migliaia.
Gente che ha fatto click facendo una ricerca, o consigliata da qualcuno, o girando su social forum più o meno noti ha fatto capolino qui e mi ha letto un post, o un paio di riflessioni, o una recensione piuttosto che una ricetta di cucina.
Guardate che è un bel vedere e un bell'avere di che fare considerazioni.
Voglio dire che quando ho visto cinquantamila mi ha fatto un bell'effetto.
Un bell'affetto.
Tanti amici ogni giorno, meno interlocuzione - sempre - di quanto vorrei, ma tente persone che vengono e leggono.
Mi piace immaginare un po' di affetto, di affezione.
Mi piace dirla così mentre, in contrasto con il manuale del bravo blogger, vi ringrazio.
Tutti e ciascuno.
Vi auguro di trovare nell'universo del web almeno la metà delle risposte che state cercando e sono qui a dare le mie.
Più che altro domande.
Sinceramente,
Emmevù, alias Marcovalentiscrive, alias MV, alias...grazie e proseguiamo.
Un sorriso.

15 maggio 2012

Cara Signora Bionda ti scrivo

Cara Signora Bionda di cui ignoro il nome,




mi rivolgo a te con una lettera aperta: purtroppo (per tua fortuna) non conosco il tuo nome né il tuo indirizzo.


Cara Signora Bionda che guidi un’auto di grossa cilindrata, voluminosa, nel traffico cittadino, è dal mio scooter che ti ho visto cambiare corsia senza mettere la freccia: sembravi, nella tua manovra lenta, una barca a vela che scarroccia in preda a vento forte e correnti, sembravi essere alticcia malgrado fosse mattina.


Probabilmente abituata ad una poca presenza di controlli sulle strade della città, sicura nel tuo macchinone, protetta da tanto volume, ritenevi possibile fare quel che stavi facendo.


Non parlo dell’inesorabile e non segnalato cambio di corsia perché quello era una conseguenza ed io è della causa che voglio parlarti.


Pacatamente.


Per quanto possa essere pacato chi ogni giorno prende un motoveicolo e si affida al proprio occhio esperto ma sa che non basta e, pertanto, deve invocare la buona sorte ogni santo giorno.


Cara Signora Bionda: tu stavi componendo un messaggio con il tuo telefono portatile.


Che sia proibito, e sanzionabile, è una ovvietà ma volevo dirti, pacatamente, che dietro la tua testolina bionda e ben messa in piega hai un cervello che dimostri essere piccolo, stupido, pericoloso e criminale.


Tra tutte le cose che ti auguro riporto l’unica cristianamente scrivibile, ma sappi che ne ho in mente almeno una decina che non posso mettere per scritto e che preferisco lasciare alla tua immaginazione: io mi auguro con tutto il cuore che tu venga fermata da un poliziotto municipale severo, possibilmente di cattivo umore, e che tu possa pagare il massimo della pena previsto per il tuo comportamento alla guida.


La speranza è ultima a morire.


Con ciò ti saluto, senza la benché minima cordialità,


tuo disgustatissimo,


Emmevù

10 maggio 2012

ma che freddo fa


Ma che freddo fa, una canzone del 1969 cantata a Sanremo da Nada e dal gruppo The Rokes. All’epoca le canzoni del festival venivano cantate da una coppia di artisti. Ero bambino e la canzone, fatalmente, mi è entrata in testa per riaffiorare di tanto in tanto.
La Piccola orchestra Avion Travel, nel disco “Storie d’amore”, ne ha reso una bella versione, con quell’andare malinconico e quella bella orchestrazione che apprezzo molto. In quel disco gli Avion Travel hanno fatto un percorso di ricerca e di valorizzazione (a modo loro, ovviamente) delle radici delle nostre melodie moderne. Credo che esista un parco di canzoni tra il ’58 e il ’70 che potrebbe ancora essere più che valido se reinterpretato con la giusta passione e sapienza. Oddio: in particolare su questa canzone sono poi uscite altre interpretazioni che personalmente trovo molto meno condivisibili: comunque ripesco nel web una asciutta biografia degli Avion Travel,
e poi, siccome è da un po’ di giorni che proprio questa canzone mi frulla in testa, la condivido.
Sperando di condividerne il piacere dell’ascolto.



D'inverno il sole stanco a letto presto se ne va
non ce la fa più
non ce la fa più
la notte adesso scende con le sue mani fredde su di me
ma che freddo fa
ma che freddo fa
basterebbe una carezza per un cuore di ragazza
forse allora sì - che t'amerei.
Mi sento una farfalla che sui fiori non vola più
che non vola più
che non vola più
mi son bruciata al fuoco del tuo grande amore 
che s'è spento già
ma che freddo fa
ma che freddo fa
tu ragazzo m'hai delusa hai rubato dal mio viso 
quel sorriso che non tornerà.
Cos'è la vita
senza l'amore
è solo un albero
che foglie non ha più
e s'alza il vento
un vento freddo
come le foglie
le speranze butta giù
ma questa vita cos'è
se manchi tu.

9 maggio 2012

Scrittori in Causa: Autopubblicazione e utopia

Segnalo e diffondo da qui un interessante intervento sulla autopubblicazione.
E' un mondo in movimento e leggerne un po' può essere utile.
emmevù

Scrittori in Causa: Autopubblicazione e utopia: Di Mauro Casiraghi

8 maggio 2012

Enza e la vespa


Portoferraio.
Una estate non meglio precisabile tra il 1955 e il 1958.

I miei genitori in vacanza.
Io ancora un’idea: di là da venire.
Enza, che non ho fatto in tempo a conoscere, e Piero, di cui posto disegni e malattia.
Architetto lui, studentessa di architettura lei: sposi, giovani, felici, in vacanza.
Lui ha una signora macchina fotografica 
e un bell’occhio a dirigerla.

È una Leika dell’epoca.
Lei non ha che poco più di venti anni. 
Mora, piccina, capricciosa e vispa.





L’albergo ristorante Taddei non c’è più.
La mamma non ha fatto proprio in tempo a esserci, nella mia vita, se non per pochi mesi.

Rovistando e provando invano a fare ordine, però, esce fuori una foto mai vista con Enza a far la diva.
In Vespa.
(Mai vista in Vespa).

Perché la posto?
Per Enzina, l’Elba, la foto, la vespa.
Amori.