le cose ci sono, sono lì a rispondere ai nostri sguardi più o meno sicuri, alle domande che non facciamo e nemmeno sappiamo, a salvarci e a condannarci: sempre e pur tuttavia solo cose.
Sarebbero chiare se noi non fossimo così confusi. Non sono le cose a comandare ma l'atteggiamento che abbiamo noi di fronte ad esse. Come ci poniamo, come scegliamo se parlare o meno e cosa dire e cosa tenere per noi e non condividere.
Cosa lasciare andare.
Dal mese di agosto nella colonna di destra di questo blog
campeggia un nuovo riquadro con scritto “ci si può perdere”.
Si sono alternate
frasi per piccole riflessioni sui diversi motivi, o talvolta le casualità, che
conducono al perdersi di vista.
Uscite di scena da consuetudini stratificate nel tempo.
Si
può trattare di una Passione, di un Amore, di un Parente, di una Amica; ti
ritrovi con uno zio che non senti da mesi mentre prima lo vedevi una domenica
si e una no; non sai più che fine abbia fatto Tizio o Caia; a Sempronio sai che
è successa una cosa importante ma non ne sai nulla in dettaglio.
Ci si può perdere per un sacco di motivi,
validi o meno: per fortuna o pur troppo
Ammollo il pane a pezzi nel vino e ci metto le ciliegie
denocciolandole.
Aggiungo lo zucchero di
canna e lascio che facciano amicizia per un po’.
Ci sbatto dentro due uova e un
cucchiaio di lievito.
Vedo che risulta ancora un po’ acquoso e mischio un po’
di farina.
Gratto a fili la buccia di un limone del giardino, buonissimo e
profumatissimo, e una decina di foglie
di menta.
Scaldo il forno sopra i duecento gradi e intanto metto il
composto in una teglia ovale.
Lascio la torta di pane in forno una mezzoretta.
Sforno, lascio raffreddare.
INGREDIENTI:
200 grammi di pane secco, forse 250;
vino rosso un bicchiere;
cinque cucchiai di zucchero di canna;
la scorza grattata di un limone;
una decina di foglie di menta;
farina quanta ne ha richiesto;
le ciliegie.
Parlo
di cucina e di vino in quello che più volte ho definito “cialtron mode” ma
stavolta ideazione rapida, creatività, ingredienti, perfezione di esecuzione
sono da applauso.
La
consistenza ottenuta è compatta ma non secca, una via di mezzo tra un ciambellone
e un budino.
Se fossi uno che va alle stupide trasmissioni di cucina
lo farei a
cubetti tutti uguali
che adagerei su un letto di crema di latte alla menta
e accompagnerei
con una pallina di gelato alla crema
guarnita con due visciole.
Però vi giuro che,
mai come questa volta,
vorrei farvi
sentire la sinfonia di profumi e di sapori
perfetta
che si è creata.
Accostamento consigliato: Vino di Visciole.
Tal vino liquoroso
si ottiene nelle Marche lasciando macerare vino, zucchero e visciole.
Straordinario.
Il dolce è stato fatto anche nella versione che prevede
il latte al posto del vino: potete trovare la ricetta nel Blog francofono fratello
di questo, “Les choses sont comme elles sont”.
Tempo
fa avevo scritto un post dal titolo “Lesson nr.1” che parlava di finestre e
diritto alla riservatezza tra dirimpettai. Se vuoi rileggerlo clicca QUI
Oggi
vorrei raccontarvi un breve discorso che avevo preparato e che non mi capiterà
più di fare.
Anche
nelle case che ho abitato precedentemente a quella che abito adesso mi sono
sempre occupato delle piante. C’è chi dice che abbia il cosiddetto pollice
verde: in realtà, più semplicemente, con scarse conoscenze di giardinaggio e
scegliendo specie a bassa difficoltà di mantenimento, metto cura, tempo e un po’
di amore nelle piante che possiedo.
Tra le
piante facili da curare c’è il nespolo.
I primi
due nespoli che ho avuto sono partiti da semi di nespola mangiata e piantata in
terra: cura, anni, acqua e potature ne hanno fatto alberi che hanno dato
copiosamente frutti. Da queste due piante avevo fatto altri tre nespoli (uno è
ancora con me nel giardino della casa che abito adesso).
I tre
nespoli erano in vaso, giovani, alti non più di un metro, in un grande
terrazzo. Uno si spezzò per un banale incidente ma riuscii a farlo riprendere
facendo un po’ quel che si fa quando devi aggiustare un osso rotto con mezzi di
fortuna. Crebbe con un nodo nel giovane tronco, come un callo osseo, indietro
rispetto ai due fratelli gemelli.
Socialmente,
politicamente e soprattutto culturalmente reputo sia un periodo difficile da
decifrare e si corrono rischi di semplificazione un po’ troppo rabberciati.
È uno
di quei momenti in cui alcuni commenti politici sono raffinati come la cucina
della “Trattoria da Lo Zozzone” e profondi come olio in superficie.
È uno
di quei momenti in cui tutti mi stanno spiegando tutto e tanti “lo sapevano
benissimo”.
È uno
di quei momenti in cui qualcuno ha cambiato idea; qualcun altro mi dice di
cambiare idea.
Volevo
scrivere un post di aforismi sul cambiare idea e ne avevo trovate un sacco e
una sporta. A seguire soltanto una piccolissima parte.
La
maggior parte di coloro che pensano di cambiare idea, non ne hanno mai avuta
una. Miguel de Unamuno
La
difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma
Quando, pur troppo raramente, sei lì in Sicilia sei inevitabilmente il cugino/nipote/zio di Roma; quando a Roma racconti che hai fiere origini palermitane a un siciliano quello comincia a parlare in dialetto stretto; quando cucini, dato che sei lontano dalle origini di cui ti vanti, devi imparare a difenderti.
A questo ultimo proposito ho già parlato di caponata di melanzane in questo blog ed è un piatto che mi viene in maniera più che discreta.
Quello che fa la differenza sono comunque gli ingredienti. I sapori siciliani, dagli ortaggi al pane, dal pesce alla carne alla ricotta ed ai formaggi tutti, sono differenti da altrove.
Comunque a me, altrove, misurarmi con la cucina siciliana piace molto e l’altro giorno ho avuto un ulteriore battesimo del fuoco con la mia prima “Pasta con le sarde”.
Dato
che, con soddisfazione, posso dire che la mia prima pasta con le sarde è venuta
a puntino e che quindi si può fare fuori dalla Sicilia vi lascio la ricetta, le
foto e due parole sul vino bianco Grillo.
Ingredienti.
350 g di Bucatini o di spaghetti grossi 1 Kg di Sarde (circa 570 g da pulite) 500 g di Finocchietto selvatico di montagna 1 bustina di zafferano 1 Cipolla 1 Aglio fresco 50 g di Concentrato di pomodoro 3 filetti di Acciughe 2 cucchiai di Passolina (Uva passa) e 2 di pinoli 60 grammi di mollica di pane abbrustolita Sale, Pepe, Olio
Ora
partiamo con dire che nella tradizione lo zafferano e il pomodoro sono
alternativi. Se vuoi fare la pasta con le sarde in bianco ci metti lo zafferano
e non il pomodoro. Io ci ho messo lo zafferano e un poco di concentrato di
pomodoro.
Il
finocchietto poi non era quello selvatico di montagna e neanche me la sono
sentita (per un esperimento!) di aprire il prezioso paté di finocchietto
selvatico che mi ha regalato mia cugina quando sono stato in Sicilia ma ho
usato quello (poco selvatico) delgiardino.
In
una padella capiente ho messo nell’ordine: olio, cipolla tritata, mezza testa
di aglio fresco (che poi ho levato), i filetti di acciuga, i pinoli, l’uva
passa, il finocchietto tritato, lo zafferano stemperato in un decilitro
d’acqua.
Le
sarde pulite e sfilettate sono finite in un’altra padella