Il fatto, raccontato a beneficio di chi non è di Roma, è che giovedì 27 ottobre c’è stata l’inaugurazione di un enorme supermercato dell’elettronica, cinquemila metri quadrati, sbandierato in pubblicità da tempo ovunque.
Il fatto è che la viabilità, attorno alla zona prescelta è una strozzatura, un imbuto per chi entra a Roma da una vasta zona a nord. Il fatto è che, per via delle promozioni annunciate per l’apertura, c’era gente accampata dalla sera prima e quindi la notizia è che Roma, il 27 ottobre 2011 è stata paralizzata.
Il fatto di cronaca lo leggete, per esempio, qui:
http://www.paesesera.it/Cronaca/Apre-Trony-a-Ponte-Milvio-Roma-nord-in-tilt
Inferociti i pendolari che sono arrivati al lavoro con ore di ritardo;
il sindaco vuole chiedere i danni;
qualcuno osserva che dare i permessi per una inaugurazione di giovedì mattina sia stata una follia;
altri che questo prova che abbassare i prezzi porti a vendere.
Si potrebbe (forse si dovrebbe) parlare di tutto questo ma la considerazione che vorrei fare è un’altra.
Per me è importante.
Il punto vero è che siamo un Paese (chiedo scusa per la maiuscola) dove “qualcosa”, un complesso di cose, spinge delle masse di persone ad accalcarsi, spintonarsi, venire alle mani, spaccare vetrine, paralizzare una città, per accaparrarsi sottocosto prodotti tecnologici quali l’ultimo telefono o l’ultimo televisore.
Non parlo di politicizzati (?) “black-block” che danno fuoco alle macchine di poveracci, rendendo vano il senso di indignazione di una moltitudine di autoconvocati di poche settimane prima, ma di vandalismo da società del libero mercato, del libero arbitrio e del consumo forsennato.
So, ovviamente, di parlare da brontosauro nel definire telefono un oggetto che dedica alla telefonia una parte residuale della sua tecnologia avanzata e mi rendo conto che le ultime generazioni di televisore sono di altissimo livello qualitativo: sono certamente fuori moda se resto tra quelli che usa il telefono per telefonare e, pur pagando il canone televisivo, non ha in casa un apparecchio televisivo (ma queste sono altre storie).
Il punto vero è che siamo un luogo incivile in cui ci si azzuffa per degli oggetti; il punto vero è che si viene indotti al bisogno di cose costosamente superflue in una fase storico economica in cui sarebbe molto più utile mettere ordine alle priorità delle proprie vite e delle proprie tasche.
Siamo un luogo precario ma di lusso.
Un posto traballante ma di design.
Meritiamo il baratro perché sappiamo precipitarvi con stile?
Egoisticamente propenderei per lasciar tuffare sconsideratamente chi non apre gli occhi e si contorna di eleganti inutilia e salvarmi con quelli che cominciano a comprendere che i termini di decrescita sostenibile, equità dei bisogni collettivi, redistribuzione delle priorità nella vita siano valori e non mode depressive e sinistramente sinistrorse.
In questa mia affermazione tuttavia ci deve essere una falla se mi vergogno per quello che è successo pur avendolo solo letto sui giornali.
Ascrivo tutto all’età che avanza o al non bisogno di essere di moda e alla moda e, sempre ingenuamente perplesso, basito, continuo a pensare che una maggioranza possa cominciare a pensare.
Spero non mi facciate sentire troppo solo.