Quando scrivi in un blog ti trovi in una comunicazione a una via sola.
Salvo feedback, commenti (ne vorresti sempre di più perché “ti fa dialogo”), segnalazioni ti trovi a parlare un po’ da solo. Tuttavia ti provi a fare qualcosa che non sia un “caro diario” ma altro.
Provi, tra le pieghe del tuo vissuto, a lasciare ombre di oggettività.
Orbene, la tag “Al come alzhaimer” riflette il degrado mentale di mio padre, Piero, e prova a dare conto e ragione di una malattia bastarda senza pietismi facili e provando a raccontarla con quel minimo di disincanto perfino umoristico (o, almeno, leggero) che, in determinate situazioni ti salva la pelle (leggasi il cervello).
Provi a rendere oggettivo e, speri, interessante una cosa piuttosto privata. Resto convinto della scelta anche se, credo, diraderò i post dedicati ad Al.
Anche perché i post che invio hanno finora sofferto tutti, chi più chi meno, di un ritardo di fase rispetto alle condizioni di Piero.
Racconto cose passate mentre le nuove incalzano.
Perbacco se incalzano.
Al è più svelto e più bastardo delle mie previsioni.
Veloce come un piano inclinato. Nel senso che accelera (per chiarezza).
Oggi mi sono accorto di un fatto e ve lo voglio raccontare.
Mio padre è lo stesso de “il disegno di Piero” (altra tag) e ha una mano benedetta dal cielo. Ha sempre disegnato e, finché ce ne è, disegnerà.
Ha meno autonomia e perciò, uscendo meno, spesso riproduce disegni e foto da riviste o libri. Oggi, dalla impareggiabile National Geographic, si riproponeva di riprodurre una foto splendida di un gambero di fiume.
Ragioni di copyright non mi fanno postare la foto originale: è nell’ultimo numero (bellissimo come sempre).
È uscito fuori un bel disegno, a tratti inquietante, che non è il gambero della foto.
Gli occhietti sono più vicini, manca un pezzo del corpo, le due chele vanno un po’ a casaccio: un gambero scombinato che verrebbe schifato dalla società dei gamberi di fiume.
Novello Quasimodo.
Abbiamo parlato un po’, per capirci entrambi.
Ci ho messo del tempo, arroccato a difendere le postazioni delle conoscenze minime imperdibili e scontate, e poi ho capito.
Una illuminazione.
Il punto è nella memoria delle cose.
Mi spiego.
Tu puoi avere una mano di Dio (e lui la ha) ma se non dai il nome giusto e associ il ricordo corretto a una cosa la riproduci… a prescindere.
Mio padre non ha disegnato un gambero di fiume.
Ha riprodotto dei segni.
Il concetto, il ricordo, del gambero non lo ha più. Tutto, a questo punto, si fa astratto.
Il gambero non si ricorda più che cavolo sia. Ha perso totalmente il concetto di gambero.
Ricapitolo e provo a essere più chiaro con un esempio.
Se dici ad un tuareg di riprodurre l’immagine di un pinguino ma questi non lo ha mai visto né mai studiato, e per di più non lo riconosce come animale, riprodurrà dei segni che per lui non hanno significato nella propria memoria.
Non ne riconosce le parti anatomiche né il tutto. Disegnerà “un coso”.
Becco? Potrebbe essere una proboscide. Proboscide? E a che serve? È solo una protuberanza. Pertanto deformabile. La nostra memoria è anche visiva, certo, ma vive di associazioni tra vista e ricordo e nozione.
Mi ricordo di aver visto un pinguino, o un gambero, e so cosa è.
Quindi lo riproduco avendo in mente uno schema “soggetto predicato complemento”.
Al glielo ha tolto e Piero si muove a luce spenta.
Però, datemene atto, con grazia.
è bellissimo.
RispondiEliminaspaluzza
la stessa grazia di questo post, immagino.
RispondiEliminaPietro vede il mondo ora con altri occhi ed ha la fortuna, lo so che sembra paradossale parlare di fortuna, di poterlo mostrare anche agli altri, di mantenere a suo modo un contatto con il mondo che lo circonda, e chi lo circonda, se riesce ad accettare il cambiamento di comunicazione, ha la fortuna di poter ancora comunicare con Pietro.
RispondiElimina:-)
spalluzza
non si muove a luce spenta, ma a un’altra luce, la sua, quella interiore, dell’essenza
RispondiElimina:-)