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le cose ci sono, sono lì a rispondere ai nostri sguardi più o meno sicuri, alle domande che non facciamo e nemmeno sappiamo, a salvarci e a condannarci: sempre e pur tuttavia solo cose. Sarebbero chiare se noi non fossimo così confusi. Non sono le cose a comandare ma l'atteggiamento che abbiamo noi di fronte ad esse. Come ci poniamo, come scegliamo se parlare o meno e cosa dire e cosa tenere per noi e non condividere. Cosa lasciare andare.
Capiterà.
Ovvio che capiterà: ora vi spiego.
Chiamerà Livia.
È sua sorella, nella realtà, ed ha cinque anni meno di lui: è il nome che gli è rimasto appiccicato addosso. È diventato il nome che da alle cose.
Perciò chiamerà Livia quando si sveglierà, quando avrà bisogno di aiuto per andare a fare pipì; pronuncerà il suo nome per indicare un piatto di verdura cotta, o piuttosto un fazzoletto.
Dirà Livia, con voce tonante, se avrà mal di pancia e lo dirà appellando ciascuno e, a volte, anche il nulla. Parlerà con nessuno, a volte, rivolgendosi a lui come Livia.
Succederà anche di notte, se si sveglierà e non saprà dove si trova. Accadrà quando vorrà andare a casa, in una casa che ricorda, forse immagina, oppure vagheggia: vorrà andare da Livia.
Assecondatelo finché potete perché non è cattivo, quasi mai.
È confuso come chi ha l’Alzheimer dentro ormai da troppo.
Livia i suoi bisogni primari, i suoi ricordi, un nome comune di cosa, un appello.
Scorderà anche lei. Questione di tempo. Sostituirà Livia con parole ancora più confuse e sempre meno pertinenti.
Prendetevene cura voi che sapete come farlo.
Mi fido di voi.
Io non ne ho più.
emmevù (per chiuderla qui)
Vorremmo tutti far parte di qualcosa.
Quelle cose di cui vale la pena far parte e che ti fanno da casa, da luogo da difendere, da ideale per cui spendersi e, magari (o anche no) morire.
Vorrei far parte di un intero, o di un club, o di una massoneria di fratelli.
Della mafia no perché un po’ mi schifo e un po’ ho paura.
Una cosa in cui credere, forse una Patria che c’era e che ci hanno tolto.
(Rendetecela).
Oppure una identità.
Ragionando sul termine identità si arriva a uguaglianza.
Magari una parola troppo grossa.
Meglio dire pari opportunità.
Più moderno e adeguato.
Vorrei un luogo, non fisico necessariamente, in cui esercitare la mia libertà.
Appartenendovi.
Lo dico perché ad ella, la libertà intesa come libertà, mi ostino ad appartenere.
Questo è.