marco valenti scrive

marco valenti scrive

19 marzo 2010

vorrei tornare bambino


Vorrei tornare bambino. 
Lo vorrei tanto perché il mondo era semplice quando ero bambino. 
Vorrei essere un bambino anche ora che ho mezzo secolo perché quel mondo, rispetto a questo, era un mondo perfetto. Ci saranno stati sbagli, imperfezioni ed errori, ma era un universo riconosciuto.

C’erano gli indiani e i cowboys, c’era lo sceriffo con i suoi modi ed i suoi metodi rudi, magari discutibili, che era riconosciuto come modello. C’erano i modelli, i maestri, i padri. C’era che dovevi dare retta agli adulti perché portavano esperienza e vissuto.
Rispetto.
Parlare a voce bassa e cedere il posto sull’autobus.


C’era il culto del lavoro, un Paese fondato sul lavoro, sull’assunto che chi lavora di più guadagna di più e chi non lavora non guadagna. Tutto era chiaro.Tutto era riconoscibile e riconosciuto senza esclusioni e senza troppi distinguo.
Lo sceriffo arrestava i cattivi o, almeno, ci provava e la legge era la legge. Il maestro era il maestro e se ci dava un nocchino avrà avuto le sue educative sacrosante ragioni. Poteva pure starci sulle balle ma aveva le sue ragioni e la ragione dalla sua.
Si poteva provare a farla franca ma non sindacare il suo giudizio.
Quando i genitori andavano “al colloquio con gli insegnanti” non c’era democrazia. Apprendevano gli esiti della mia condotta e del mio profitto e di conseguenza mi premiavano, se lo ritenevano, o mi punivano. Tutto ciò secondo il giudizio, accettato e condiviso, del mio educatore e giudice.
Questo era normale.
Studio, lavoro, impegno: chiavi per raggiungere la serenità, l’essere benestanti, l’accettazione sociale, se capitava il successo. Studia, diventa bravo: solo così potrai riuscire.
Un giorno è venuta su un’altra televisione, differente da quella ingessata che ci proponeva western in bianco e nero, e con altri, nuovi, messaggi. Bastava indovinare quanti fagioli fossero contenuti in un barattolo per vincere dei denari. Poi bastò semplicemente avere la fortuna di prendere la linea per vincere dei denari. “Complimenti! Lei ha vinto XXmila lire! Bravo!”. Bravo? Perché?
Nessun titolo di merito logico: solo fortuna.
Il quiz televisivo della mia epoca (epoca?) era quello in cui Mike Bongiorno faceva sudare dei secchioni inverosimili su domande inverosimili e quelli tiravano giù nozioni che nemmeno col vocabolario: dopo è venuta una televisione e un mondo in cui non serviva più sapere la risposta ma azzeccarne una plausibile tra tre o quattro.
È come dire che non serve più studiare con passione ma basta girare la ruota o indovinare il pacco giusto.
Prima non era così.


C’era lo sceriffo e tutti gli dicevano grazie. Il mondo si divideva tra le persone perbene che gli dicevano grazie perché ripuliva la strada dai banditi e i malfattori che non volevano essere perseguitati. Fino al plauso di una maggioranza di italiani che lanciava monetine all’indirizzo di corrotti e corruttori davanti a un albergo romano.

Un bel giorno la linea difensiva di un imputato cambiò il corso degli eventi. Questi non perse il tempo a incaricare un Perry Mason perché dimostrasse la sua innocenza ma mise in dubbio che il giudice potesse giudicare e che fosse animato solamente dal proposito di fare rispettare le leggi del Paese. Si spostò il piano dalle ragioni di una, ipotetica, malefatta ad altro. Non più dimostrare di non aver fatto il male ma condurre il Paese a domandarsi se lo sceriffo fosse un onesto, imparziale, esecutore della Legge ovvero egli stesso un bandito.
Non conta più, in questo modo, comprendere se ci sia stato un reato e, nel caso, punire il colpevole.

Nello stesso periodo il legame tra lavoro e guadagno è diventato più labile, fino quasi a scomparire. Guadagnare denari e crediti in società non ha più alcuna proporzione con il lavoro svolto e la fatica consequenziale ad esso ma attiene a una sfera altra, fatta di speculazione e giochi di prestigio. La finanza vince, sbanca: il capitale e la rendita contano più del lavoro. Qualcuno obietterà, facilmente, che prestigiatori ce ne sono sempre stati.
Concordo pienamente. Erano casi un po’ più isolati, erano Arsene Lupin, erano maghi dell’illusione: oggi sono modelli, norma, esempio. Sistema.
Credo qualche differenza, quantomeno nella percezione, ci sia. Anzi c’è da chiedersi come si sia modificata questa percezione. Come è successo che il buono non sia più, facilmente, riconducibile alla figura dello sceriffo e del maestro? Come si è arrivati a non distinguere più il buono dal cattivo?

Ho la mia risposta ma è la mia.
A prescindere credo sia di una certa rilevanza farsela la domanda. Credo sia importante che qualcuno si faccia, ancora, la domanda. Il passo successivo sarà non porsela più.
Oggi schiaffoni al maestro che giudica non sufficiente il pargolo; ombre sul magistrato che inquisisce il politico; fastidio diffuso verso le domande e preferenza a confezionare risposte precotte per il popolo sempre più bue. Lo status ottenuto coi danari, qualsiasi sia la provenienza, è lasciapassare sempre più riconosciuto.

Nessun rapporto tra lavoro svolto e compenso percepito.
Nessun legame diretto tra sapere, cultura, capacità e guadagno. Imbarbarimento progressivo del linguaggio, della morale, dei valori. Avallo e servilismo verso chi può comprare la nostra etica.
Ma se manca la corretta percezione della realtà il prezzo al quale ci comprano le coscienze e ci inducono all’imbarbarimento scende. Inesorabilmente cade perché scende il valore di noi persone. Diminuisce il rispetto che meritiamo, la solidarietà tra simili che si riconoscono nei valori, e gli stessi valori – fondativi di una comunità – non si trovano più.
Non c’è più polis. Non ci può più essere politica. Resta solo il tifo da stadio.
Allora i cowboys sono l’inter e gli indiani il milan (o viceversa) e ogni opinione ha uguale dignità.
L’olocausto e il suo negarlo; il giudice e l’imputato; la legge e la sua assenza.Tutto è uguale, tutti sono uguali, tutti la stessa cosa: nessun giudizio ha più liceità.
Non è detto che abbia ragione quando professo la mia opinione.
Difendo che ognuno possa avere la propria purché l’abbia e non sia nel brodo primordiale senza desiderare di ragionare. Detesto tanti, sia chiaro: son partigiano e ho i miei partiti, le mie simpatie, il mio essere tifoso.
Posso, caso per caso, argomentare. Ritengo, tuttavia, che il maestro debba poter fare il maestro, lo sceriffo abbia il dovere di acchiappare i banditi, il lavoro debba essere il valore a cui legare i soldi. Sono certo che il percorso con cui formo la mia idea sia, per quanto detto, un processo sano. Altresì ritengo che sia lecito, perfino opportuno, ragionare con la propria testa e formare delle opinioni personali purché queste tengano conto delle norme, della legge, del maestro e del suo lavoro, dello sceriffo prima che del bandito.


Marco

3 commenti:

  1. Io stessa in questo periodo mi pongo mille domande sul "senso"delle cose, della vita, della società, del lavoro, dei rapporti umani o sociali...ma tu con questo post ha sublimato il concetto!
    Condivido in pieno il tuo pensiero, proprio perchè "è lecito perfino opportuno, ragionare con la propria testa e formare delle opinioni personali purché queste tengano conto delle norme, della legge, del maestro e del suo lavoro, dello sceriffo prima che del bandito".

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  2. Posso tornare bambina anche io?
    Laura

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  3. Grazie.
    Chiunque può essere bambino.
    Forse volare con Peter Pan.
    Certamente porsi domande, magari con cuore bambino.

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