UNA CITTA’ PER CANTARE
Grandi strade piene, vecchi alberghi trasformati
tu scrivi anche di notte perché di notte non dormi mai,
buio anche tra i fari tra ragazzi come te
tu canti smetti e canti sai che non ti fermerai
caffé alla mattina puoi fumarti il pomeriggio
si parlera' del tempo
se c'e' pioggia non suonerai
quante interurbane per dire come stai?
raccontare dei successi e dei fischi non parlarne mai
e se ti fermi convinto che ti si puo' ricordare
hai davanti un altro viaggio e una citta' per cantare
alle ragazze non chieder niente perche' niente di posson dare
se il tuo nome non e' sui giornali o si fa dimenticare
lungo la strada tante facce diventano una
che finisci per dimenticare o la confondi con la luna
ma quando ti fermi convinto che ti si puo' ricordare
hai davanti un altro viaggio e una citta' per cantare
grandi strade piene vecchi alberghi dimenticati
io non so se ti conviene i tuoi amori dove sono andati
buia e' la sala devi ancora cominciare
tu provi smetti e provi la canzone che dovrai cantare
e non ti fermi convinto che ti si puo' ricordare
hai davanti una canzone nuova e una citta' per cantare
Emmevu:
Quando ho sentito per la prima volta Jackson Browne che cantava Along the road ho pensato – ne ero sicuro – che avesse scritto la versione inglese della canzone di Ron. Questo la dice lunga su quanto fossero approfondite le mie conoscenze di musica straniera.
Parliamo degli anni settanta (non che siano molto migliori adesso).
I settanta sono stati anni dove, come tanti altri liceali, strimpellavo la chitarra.
Succedeva sia in un piccolo gruppo (con cui suonavamo cover di Santana, Beatles, Deep Purple e via dicendo) sia le estati al Circeo, in comitiva.
Lì le scelte erano più acustiche e la voglia di cantare tutti e fare casino scivolava sempre fatalmente sulla musica italiana e sui cantautori. Non seguo tutta la musica italiana, né ora né allora, ma ci sono un sacco di cose che amo.
Anche un sacco di persone.
Una città per cantare ti prende subito per come parte e ti tiene con quell’andare romantico, un po’ dolente, e ti parla di viaggi e di allontanarsi a suonare, di una solitudine allora sconosciuta che però dava l’idea che crescere sarebbe stato una gran ficata. Ti parla di una vita che percepivi subito come altra rispetto a studio e famiglia: ce n’era abbastanza per adottarla.
Piesse:
Non ricordo quando sentii per la prima volta “Una città per cantare”, ma ricordo perfettamente di aver pensato – prime note – che fosse un’ottima cover. Oddìo: allora non si diceva così. Una versione, si diceva, la versione italiana (vetusto vèrtere…noi del liceo classico). Un’ottima versione, che restituiva bene quell’enfasi tutta americana delle distanze.
Una sola cosa, un solo verso, non mi andava giù anzi, (diciamola tutta) mi faceva proprio arrabbiare: è quando dice: - …convinto che ti si può ricordare… -. Pessimo. Pessima metrica, rispetto alle altre strofe. Pessimo italiano, con (posso?) quell’… “oggettivazione riflessiva di un passivo!”. Per di più isolato dall’arresto della musica che - metrica esatta - in quel punto tace. Quelle tre o quattro sillabe scandite a strascico… Bah!
Lottavo allora, piacevolmente e intensamente, con la prima comprensione di un certo rock sinfonico britannico, con la sua esattezza per me sconvolgente; oppure restavo affascinato dalla semplicità rozza ma intensa di Neil Young. Forse perché, alle prime mie armi con la chitarra, che ancora mi accompagna, era l’unico che riuscissi a riprodurre discretamente. Mi servivo delle ballate americane solo per le atmosfere struggenti ed evocative. In un’età in cui l’unica vera …evocazione possibile era quella delle speranze.
Tra gli italiani, come tutti i coetanei, frequentavo Battisti, senza ancora comprenderne l’inarrivabile spessore musicale; o la Premiata Forneria Marconi, quasi in solitudine. Ma diffidavo del resto. Snobismo d’ambiente e, solo in parte, una vena di distacco politico. Altri tempi.
Ron piombò in tutto questo dal nulla.
Ma gli occhi di Cristina che mi guardano e sorridono, mentre cantiamo ‘Una città per cantare’, insieme a tutti durante una festa; e quella sua mano appoggiata al mio braccio, primo incerto e fiducioso contatto, ancora mi sgomentano.
…………………………….
Highways and dancehalls A good song takes you far Your write about the moon And you dream about the stars
Blues in old motel rooms Girls in daddy's car You sing about the nights And you laugh about the scars
Coffee in the morning cocaine afternoons You talk about the weather And you grin about the rooms
Phone calls long distance To tell how you've been Forget about the losses, you exaggerate the wins
And when you stop to let 'em know You've got it down It's just another town along the road.
The ladies come to see you If your name still rings a bell They give you damn near nothin' And they'll say they knew you well So you tell 'em you'll remember But they know it's just a game And along the way their faces All begin to look the same
And when you stop to let 'em know You got it down It's just another town along the road
Well it isn't for the money And it's only for a while You stalk about the rooms And you roll away the miles Gamblers in the neon, clinging to guitars You're right about the moon But you're wrong about the stars
And when you stop to let 'em know You got it down It's just another town along the way
http://it.youtube.com/watch?v=BfY0K3O07ko
Semplicemente fantastico
RispondiEliminaCristina