le cose ci sono, sono lì a rispondere ai nostri sguardi più o meno sicuri, alle domande che non facciamo e nemmeno sappiamo, a salvarci e a condannarci: sempre e pur tuttavia solo cose.
Sarebbero chiare se noi non fossimo così confusi. Non sono le cose a comandare ma l'atteggiamento che abbiamo noi di fronte ad esse. Come ci poniamo, come scegliamo se parlare o meno e cosa dire e cosa tenere per noi e non condividere.
Cosa lasciare andare.
Il 26 ottobre (come oggi) nel 1871, a Roma, nasceva Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri – cognome anagrammato – e mi piace ricordarlo con il pezzo dalla poesia “Er compagno scompagno” ma, va da sé, ce ne sarebbero a decine.
Fatevi un giro su Wiki, o su internet, o riprendete in mano un suo libro.
Uno dei bersagli preferiti
di Piero, durante i suoi giri a disegnare per Roma, era Teatro di Marcello.
Subiva la fascinazione delle sovrapposizioni delle epoche diverse e un
manufatto che si prestava ad essere visto in scorci molto differenti, mai
esaustivi, ma non era visitabile.
Questo teatro fu ideato e cominciato a costruire da Giulio Cesare, ma
completato da Augusto, che lo dedicò al
suo nipote prediletto Marcello. Invece di ereditare l'impero di Augusto,
Marcello morì in giovane età e fu il primo a essere deposto nel mausoleo
augusteo.
In seguito
il teatro divenne proprietà della famiglia dei Fabi che vi fece costruire un
fortezza sopra gli archi e, nei secoli successivi, passò nelle mani dei Savelli e poi degli
Orsini.
Nel XVI secolo
il teatro fu convertito in palazzo.
Guardando
oggi al Teatro di Marcello, è possibile scorgere i grandi archi dell'antico
teatro, le fortificazioni medievali ed eleganti aggiunte di Baldassare Peruzzi,
che era alla guida dei lavori conversione del teatro a palazzo rinascimentale.
Le tavole
di Piero non vi dico da dove sono prese: scopritelo voi. Come quasi sempre non
sono riproduzioni ma interpretazioni. È quel che lascia la differenza tra un
bel disegno tecnico e l’opera di un artista. Tutti i disegni sono stati eseguiti dopo il 2001, quando Piero aveva intorno agli ottanta anni di età.
Vi rammento
che cliccando su ogni immagine potrete vederla ingrandita e che altre tavole
sono presentate in questo blog, in altri post, sotto la tag “il disegno di Piero”
(trovate gli argomenti di questo blog nella colonna di destra).
Per
maggiori informazioni su questo straordinario monumento potete sbizzarrirvi nel
selvaggio web: per i fondamentali consiglio il sito della Sovraintendenza di
Roma.
dentro un bicchiere,
dentro un colpo di vento,
ma devo partire.
L’America non è quella che leggi sopra i giornali o scoppia in una risata nei film tutti uguali.
Lascio l’Italia per andarla a cercare,
e tu, giovane donna americana fammi qualche regalo in italiano perché io possa sentirmi un po’ meno lontano, davanti a una ferrovia, o nel letto di casa mia.
Tutte le notti quando la luna, luna curiosa in mezzo ai lampi, fa fatica ad uscire tra le nuvole, incontro a gli amanti.
Strana città con tanta gente, allora vendo il mio cuore sopra nuvole d’oro, ma nessuno lo vuole. Con un freddo che se ci pensi troppo ti si stacca il naso.
Ma tu giovane donna americana
non lasciarti morire perché nelle tue mani c’è qualcosa
che sta crescendo,
come piove da due ore e tu, non ti stai accorgendo del cielo che sta cadendo
C’è
un giovane sedicenne benestante di New York che si fa sbattere fuori dalla sua
scuola e anticipa il suo rientro a casa in vista delle vacanze di Natale. Ci
impiega un po’ perché titubante e impensierito. Racconta i suoi incontri e i
suoi pensieri di tre giorni strani e intensi prima di rientrare in casa,
parlare con l’adorata sorellina e prendere decisioni sul suo futuro.
“Se davvero avete voglia di
sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e
com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e
compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David
Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne.”
Se davvero avete voglia di
leggere questa mia recensione eccetera eccetera, magari vi toccherà sentire
perché ho riletto “Il giovane Holden”, scritto nel 1952 da Jerome D. Salinger,
letto con piacere prima dei miei vent’anni senza che mi lasciasse un segno come
un romanzo di formazione e tutto il resto.
Ora il fatto è che,
oltrepassato il mezzo secolo e compagnia bella, mi sono trovato a leggere,
tempo fa, il mio primo romanzo di Murakami ed è stato Norwegian Wood. Potrete
pensare che ci sono arrivato tardi ma non è roba della quale mi va proprio di
parlare. Ma Hakuri ha scritto questo libro, considerato dai più un formidabile
libro, e lo ha riempito di citazioni e omaggi a Salinger e c’era quella domanda
fondamentale su dove vadano le papere quando gelano i laghetti che, per Jerome,
Holden, Hakuri nel 1987, Toru Watanabe e mi sa un sacco di gente ho capito che
è stata una domanda simbolo.
Insomma mi sono procurato
una copia del libro. Non ho voluto cercare la nuova traduzione in italiano di
Matteo Colombo ma ho cercato quella storica di Adriana Motti perché, diamine, è
con quella che questo libro è diventato importante e tutto il resto.
Ho riletto il libro tradotto
dalla vecchia Adriana (nel 1961) e il bel carteggio illuminante tra la traduttrice Anna Nadotti che revisionava il lavoro del buon Matteo Colombo mentre lui traduceva il vecchio “The catcher in the rye” del
vecchio Jerome.
In una nuova traduzione, il
libro che ha sconvolto il corso della letteratura contemporanea influenzando
l'immaginario collettivo e stilistico del Novecento
Ad ogni modo: lo ho riletto
con quella bella calma di un cinquantenne, ho capito che è stato un romanzo
esplosivo per la sua epoca, un libro maschile singolare, forse venato di
autobiografismo ma non importa.
Che possa essere stato o essere ancora un
romanzo di formazione mi lascia dubbioso ma è un gran bel romanzo, giocato
sulla parola, sul modo di narrare che
frammezza la cronaca con i ricordi di Holden Caulfield in una storia che si
dipana in una manciata di giorni (a occhio tre o quattro giorni, e notti)
impiegati tra l’essere stato cacciato da un liceo a sedici anni e tornare,
titubante sul proprio futuro e sulla vita, nella sua casa di ricca famiglia
Newyorkese.
Che risulti simpatico o odioso al lettore è cosa che reputo
ininfluente rispetto all'altissimo valore del libro: depresso o sbruffone (falso sbruffone
sedicente maturo come tantissimi ragazzi sono sempre stati e sempre saranno),
coraggioso a parole e codardo nei fatti, voglioso di sigarette e di alcol
proibito ai minori e di sesso non ancora esplorato.
Comunque sia ciò che muove
i pensieri e le azioni del protagonista è l’essere ferocemente e tenacemente
avverso ad ogni manifestazione di ipocrisia, o di quanto lui ritenga tale e –
con il metro di un giovane – tratteggia un’epifania di situazioni e persone
ipocrite in maniera assolutamente efficace.
Più importante del giudizio
soggettivo del singolo lettore (incluso me), è importante capire che Holden ci
racconta una fase della sua vita, della sua maturazione, di come si formano le
idee, di come – a volte – i pensieri siano apparentemente confusi, circolari,
approssimativi: il termine apparentemente è legato al modo di raccontarli ma,
se si legge con un po’ di attenzione e se si esce da momenti di stordimento
alcolico o di confusione comportamentale, le idee del ragazzo sono estremamente
chiare.
Brevi e concitate sono le frasi di Holden, io narrante in prima persona
e al passato remoto: nel modo di esprimere, di costruire le frasi e con esse la
narrazione, segue i propri pensieri man mano che si vanno formando e spesso lascia
concetti sospesi come volesse dire al suo interlocutore-lettore che quanto non
conclude sia ovvio, scontato e conosciuto, e così via, eccetera eccetera.
Holden sa di non voler
essere ipocrita mai: negli studi, nelle letture, nei rapporti con gli amici e i
compagni, nell’amore e nei rapporti con il sesso.
Holden non sa ancora cosa
sarà della sua vita ma ha chiaro cosa non vuole che sia.
Salinger, del resto, ci
avvisa subito che non leggeremo Davide Copperfield, dichiara immediatamente una
rottura con i romanzi precedenti sulla adolescenza, sdogana la narrazione
interiore, frammentata e incerta, il flusso di coscienza, le difficoltà e le
fragilità di ogni maturazione, eccetera eccetera.
Non credo fosse consapevole
di tirare un ponte tra letterature diverse e distanti tra loro ma, diamine, lo
ha fatto.
Gin a body meet a body
Coming through the rye;
Gin a body kiss a body,
Need a body cry?
Cioè, traducendo
letteralmente dal vernacolo scozzese: Se una persona incontra una persona che
viene attraverso la segale; se una persona bacia una persona, deve una persona
piangere? Da qui la difficoltà a tradurre il titolo originale “The catcher in
the rye” (l’acchiappatore nel campo di segale).
Peccato!
Peccato perché il
libro non è un lungo romanzo con un ritratto insistito e minuzioso del giovane
Holden; peccato perché il senso del titolo, in questo che è un racconto di un
tempo adolescenziale breve e significativo per il protagonista, è tutto
poeticamente spiegato nel colloquio notturno tra Holden e la sorellina Phoebe.
E’ un passo splendido che da solo, per chi ha cuore, vale tutto il libro. Diventare acchiappatore nel campo di segale e salvare così i giovani giocatori
dal burrone è quello che Holden vorrebbe diventare.
Lo schema del libro comunque
è questo.
• Breve introduzione su di Holden e del suo contesto
• Saluto al professore Spencer
• Cena e successiva uscita con Brossard ed Ackley
• Fuga da Pencey
• Aperitivo con le tre ragazze dell’albergo
• Al locale di Ernie
• L’avventura con Sunny e Maurice
• Acquisto del disco per Phoebe
• Uscita con Sally
• Aperitivo con Luce
• Ubriacatura di Holden e successiva rottura del disco
• Ritorno a casa per parlare con Phoebe
• Notte a casa del professor Antolini e poi vicino alla
stazione
• Ritorno alla vecchia scuola per salutare Phoebe
• Uscita con Phoebe fino allo zoo
• Decisione di rimanere a New York
la copertina del disco che Holden compra per la sorellina Phoebe
Jerome David Salinger è nato
nel 1919, ha scritto “Il giovane Holden” a 32 anni, è morto nel 2010 che ne
aveva 91. Di lui si sa che ha scritto tanto ma ha pubblicato poco.
Nel
testamento ha lasciato scritto che i suoi inediti potranno essere pubblicati
cinquanta anni dopo la sua morte e quindi, chi potrà e vorrà, dovrà aspettare
il 2060. Riguardo al suo “The catcher in the rye” pretese e ottenne copertine
semplici, senza illustrazioni accattivanti, perché convinto che chi comprava il
libro lo doveva fare solo se attratto dalla storia e non dalla copertina.
Esempio raro che piacerebbe ad un mio amico e che dovrebbe far riflettere sia
chi legge che chi pubblica e vattelappesca. Meno titoli esca e meno copertine
esca potrebbero farci leggere tutti meglio.
Il vecchio J.D. è stato una persona
schiva che amava vivere lontano dai riflettori in una, rarissima, intervista
del 1974 disse:
"Non pubblicare mi dà
una meravigliosa tranquillità...Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo
per me stesso e per mio piacere."
Sarebbe bello se tanti
scrittori troppo prolifici rispetto alla loro vena creativa ne facessero
tesoro, eccetera eccetera.
P.S.: il libro è, per chi le
ama, una miniera di citazioni e alcune sono più famose dell’unica che riporto.
“Sento un po' la mancanza di
tutti quelli di cui ho parlato.
Non raccontate mai niente a nessuno.
Se lo
fate, finisce che sentite la mancanza di tutti.”