marco valenti scrive

marco valenti scrive

21 ottobre 2008

scuola

Per scelta i curatori di questo Blog pubblicano solo cose scritte da loro e ciascuno si assume la responsabilità di quanto posta: questa è una eccezione comunemente decisa.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli, ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata.
Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio.
Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere.Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina.
L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.
Dare alle scuole private denaro pubblico.
Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn), a Roma l'11 febbraio 1950.
Pubblicato nella rivista "Scuola democratica", 20 marzo 1950


20 ottobre 2008

Laphroaig (Uno)


Quando Paolo ed io abbiamo scritto “Un senso alle cose” abbiamo disegnato personaggi che amano abbandonarsi al piacere del buon bere. Avevamo individuato nel Laphroig (Laphroaig pronuncia "la-FROYG" o IPA: /læˈfrɔɪk/) la marca di scotch whisky preferita da uno dei due personaggi dell’epistolario non a caso. Entrambi reputiamo il Laphroig il miglior single malt che abbiamo bevuto finora.
Poi è uscito un libro di Santo Piazzese con un protagonista che adora lo stesso liquore e abbiamo virato sul Glenfiddich pur sapendo che non c’è paragone. Ci sembrò che il posto fosse già occupato. Non piace a tutti il Laphroig, non è per tutti; è salato per via della distilleria vicino al mare; è particolarissimo e non ne vogliamo a chi dice che non l’ama. Tuttavia lo reputiamo, entrambi, straordinario per intensità e profumo.
A tal punto che ne parleremo ancora.
E ancora e ancora.
Se bere ha un senso e ha senso bere il Laphroig non può non essere provato.
Conservo con gioia il momento in cui, per la prima volta, lo abbiamo condiviso: roba di amicizia e complicità.


http://it.wikipedia.org/wiki/Laphroaig

la foto riporta una bottiglia “quarter cask”; giacché la ho provata conto di tornarci; sia di tornare a parlarne sia alla bottiglia…

19 ottobre 2008

Insulti

Roma.
Davanti a cinque o sei registratori di cassa, altrettante file di persone in attesa di pagare. Mi accodo a quella più corta.
Trascorsi due minuti, mi accorgo che la fila da me scelta non procede.

- Funziona questa cassa? – domando al signore in prima posizione.
- Credo di no – risponde quello senza voltarsi.
Mi guardo intorno e decido di cambiare fila. Ne scelgo una e mi muovo. La persona che stava davanti a me, dopo avere evidentemente ascoltato il mio breve dialogo, decide di seguirmi. Indossa una camicia a maniche lunghe e la cravatta. Evidentemente la sua giacca è rimasta in ufficio. E’ basso, azzimato, e sopra pesanti baffi neri porta un bel paio di occhiali da sole, assolutamente inutili, nella penombra del negozio.
Mi accodo alla nuova fila. Il tipo bassetto mi raggiunge immediatamente e si infila davanti a me, volgendomi la schiena, senza uno sguardo né una parola.
- Mi scusi… - dico incerto e stupito.
Quello si volta.
– Lei era dietro di me nell’altra coda! – afferma seccamente. Pesante inflessione romana.
- Cosa significa? – rispondo interdetto, ma quello torna a rivolgermi la schiena.
Decido di spostarmi ancora, accodandomi alla fila ulteriore, anche se leggermente più lunga. Scuoto il capo e borbotto tra me – Solo gli italiani… -, ma non riesco neanche a terminare la frase.
- Italiano sarà lei! – mi apostrofa quello, senza voltarsi.
Piesse

Da una pagina del diario del 1995

9 ottobre 2008

la cameriera ossuta



Una città altoatesina, un albergo da me spesso usato.
Mi muovo di nuovo per lavoro e ripercorro sentieri battuti ricercando piccole certezze del tornare in luoghi già percorsi.
In un albergo si cerca la camera ben pulita, il bagno confortevole, tranquillità e buone luci e una confortevole prima colazione che possa essere viatico per una giornata di lavoro.
Colazione in solitudine, pertanto, necessita vero conforto.
Finisce che si mangi più che a casa; è una forma di consolazione alla solitudine.
Mi consola lei, che serve ai tavoli al mattino tra studel e cappuccini.
Sono in due, come sempre. L’altra è giovanissima, ossa lunghe, capelli biondissimi, lisci, lunghi e sorriso aperto e sbarazzino.
Lei no.
L’altra si muove agile che pare danzi; è chiaramente di ceppo austriaco. Lo si sente dalla fatica con cui arranca l’italiano.
Lei no.
Lei ha un sorriso approssimativo, un labbro appena atteggiato al buon umore, e un piglio che in realtà pariglia con severità da istitutrice.
Viso ossuto, zigomi un po’ sporgenti, importanti, e sguardo che non fa scopa col suo lavoro di servizio.
Lei è severa, forse severa dentro, professionale e fredda.
Precisa nel fare, più grande dell’altra; capello nero raccolto a crocchia antica. Pare voler essere altrove ma svolge il suo compito in modo inappuntabile. Lo stesso modo di camminare è diversissimo: l’altre molle che sembra Pippo, lei nervosa ed efficace che pare Julie Andrews.
Una punta, ma solo una punta da avventore assonnato, Mistress…
L’altra finge ammiccamento e lei no.
Mento sottile e occhi taglienti, sopracciglio severo che pare sgridarti ma, tuttavia, non inimico: una donna al lavoro.
Ossuta e scostante, almeno nel confronto con l’altra, in realtà mi rassicura.
Secca, piena di scatti a rasentare i tic nelle movenze, magra e di movenze aspre come un limone acerbo.
La colazione coniuga il salato col dolce, il caffè non pare troppo nordico, e mi consolo del giorno di lavoro che mi aspetta.


(2008)

5 ottobre 2008

Cervaro della Sala (odio le file)




Roma 3 luglio ’98

Amico mio, sono le nove di sera e sono appena uscito da un bagno caldo dopo due ore di fila in macchina per tornare a casa.. Patrizia e Marco sono dai suoceri e, giustamente, non mi hanno aspettato.
Finita la scuola di Marco capita spesso di vedere i nonni materni; secondo me è anche che stanno cercando di riempirsi di nipote prima che si trasferisca al mare, dai miei a San Felice Circeo. Credo che la nostra estate sarà tutta lì, dove potrò fare facilmente il pendolare con Roma.
Sgranocchio salatini giusto per quel minimo di base solida che questo Doc umbro merita. L’esasperazione da traffico meritava la consolazione di questo bianco strepitoso, classe ’95, Cervaro della Sala: un bel colore quasi dorato, fruttato quel giusto che la stagione richiede e gusto pieno a strafottere. Cerco di stemperare, bevendo e scrivendoti, tutta la rabbia e lo stress accumulati.
Disco di Van Morrison con i Chieftains in sottofondo.
Odio le file, Luca: quando arriverà ‘sto Giubileo non sarà mai troppo tardi.
Odio le file stupide per strada ma ancor di più gli stupidi che vi albergano. Detesto buona parte dell’umana genie. Quelli che navigano tutto a destra in corsia di emergenza e quelli che suonano anche se è inutile e quelli che si accodano alle ambulanze; i guidatori che parlano al telefonino e quelli che strombazzano invidiosi verso chi telefona.
I vigili che ma dove stanno quando servirebbero ma a volte girano a tre a tre e fumano, e fumano in servizio.
Mi inquieto per i cantieri segnalati quando è ormai tardi.
Oggi quello che mi ha fottuto è stato proprio un cantiere sul Lungotevere, di quelli che a saperlo fai un’altra strada.
…ad averlo saputo.
Mi va stretta la noia delle file e l’ansia che vi si insinua e i pensieri che trovano asilo nell’ansia, quelli che nascono in fila per poi sparire quando si torna a camminare ma poi tornano quando sei steso nel silenzio del tuo letto e ti chiedi
da dove cazzo arrivino
e ti sei scordato da dove e quando ma era una fila in macchina.
Mi opprime il cuore la cintura di sicurezza e odio la sua macabra necessità come la necessità di fermarsi un attimo in seconda fila e rimediare una multa che neanche in America sono così veloci e allora odio le seconde file che non mi fanno andare avanti e neanche una multa.
Dio distratto e quelli che si infilano senza freccia e quasi li tamponi e quelli che tamponano e poi si fermano e telefonano alla stradale con il portatile e da ciò due chilometri e mezzo di fila
e allora odio le file stupide e il cerchio ricomincia la giostra
I cantieri che non finiscono mai e quello nuovo che non lo sapevi.
La rassegnazione scomposta e astiosa e la nuova lontananza di monte verde che prima era a un attimo da ovunque.
L’indifferenza dei conducenti di autobus e il loro uso irrazionale delle frecce.
L’arancione che ti aspetta.
Lo smog e l’ipocrisia della benzina verde.
La segnaletica inesplicabile.
Non potere più prevedere quando arrivi.
Odio le file per il loro rappresentare ulteriore conferma della mia infelice inadeguatezza.

Questa è Roma che aspetta l’anno santo, Dio benedica i viticoltori e il frigo che tiene in fresco vini come questo.

Due ore a pensare.
Due ore di gas di scarico, di ignoranti e di serena certezza che non sto vivendo la vita che voglio vivere.
E non è il traffico, magari fosse il traffico.

Voglio cambiare esistenza, fuggire da questa malsana corsa, da questa follia di compromessi amari, da Cardaci che trucca le carte, da questa banca del profitto e delle apparenze.
Sai qual è la cosa più bella? Che non sono mai stato così pronto alla fuga; proprio ora che nessuno mi insegue. Questo mi dà lucidità, chiarezza di propositi e determinazione.


(da “Un senso alle cose” – Boopen Editore – www.boopen.it)

Cervaro della Sala:
vino prodotto dal Castello della Sala in Umbria, di proprietà dei Marchesi Antinori, derivante da un uvaggio di Chardonnay 80% e Grechetto 20%. E’ diventato nel corso degli anni uno dei vini bianchi italiani più rappresentativi capace di unire eleganza, potenza e capacità d’invecchiamento. Da provare su un piatto di tagliolini “Cacio e pepe” magari nobilitati da qualche scaglia di tartufo nero di N
orcia. Annate da non perdere: 1998, 1994 e 1992.

Musica.
Non avendo trovato traccia su Youtube del (grandioso) disco con Van Morrison,
ecco "The Chieftains" in concerto:

http://it.youtube.com/watch?v=mgEZXw7cWyU

3 ottobre 2008

latte cinese



Latte a mandorla

Ora, io dico, due parole su questa storia dei bambini morti in Cina per il latte pieno di schifezze le vogliamo dire? Ce ne sarebbe, ah, ma mi fermo a una annotazione premettendo che, per me, le parole contano e che chi le usa dovrebbe usarle a proposito. Alla notizia del brutto guaio del latte cinese le autorità e i mass media ci hanno prontamente rassicurato che noi, in Italia, non importiamo latte dalla Cina.

Rassicurante.

Peccato che due giorni dopo ci fanno sapere che non è scontato che i ristoranti cinesi siano sicuri.

…e se tra le due notizie mi fossi strafogato di involtini primavera in uno dei tanti ristoranti della mia città?

(giusto per non scordarcelo: sbaglio?)