Da cittadino di Roma, privo di
competenza specifiche nel settore del riciclo e della valorizzazione dei
rifiuti, ho cominciato ad interessarmene per legittima difesa.
Difesa da una questione
palesemente irrisolta, quella dei rifiuti nella Capitale del Paese, che ha
radici ben affondate nel secolo scorso.
Ricordo bene i miasmi della gigantesca
discarica privata di Malagrotta e le lotte dei Comitati di quartiere sulla
Aurelia. All’epoca tutto finiva in discarica, tranne i rifiuti ospedalieri che
bruciavano, e tutt’oggi bruciano all’interno di questi grandi complessi o che, comunque, hanno una loro strada.
Ho ben presente le procedure
di infrazione aperte sul tema nei nostri confronti e mi è chiaro che trasferire
immondizia a centinaia di chilometri dal luogo di produzione sia sbagliato e
antieconomico.
Ho ascoltato e mi sono
informato il più possibile, con mente aperta e anima in pena.
L’idea di base dell’economia
circolare è veramente affascinante. Il rifiuto, ben separato per tipologia e
correttamente raccolto, smette di esser cosa da seppellire o da bruciare per
diventare materia prima per nuove produzioni.
È fantastico.
Una Città Metropolitana di 4,4
milioni di abitanti dovrebbe essere un vero colosso nella produzione di materie
prime del genere.
Ma il mercato di qualsiasi
materiale è soggetto alle leggi della domanda e dell’offerta e alla qualità del
materiale che vendi.