le cose ci sono, sono lì a rispondere ai nostri sguardi più o meno sicuri, alle domande che non facciamo e nemmeno sappiamo, a salvarci e a condannarci: sempre e pur tuttavia solo cose.
Sarebbero chiare se noi non fossimo così confusi. Non sono le cose a comandare ma l'atteggiamento che abbiamo noi di fronte ad esse. Come ci poniamo, come scegliamo se parlare o meno e cosa dire e cosa tenere per noi e non condividere.
Cosa lasciare andare.
Lettera dal piroscafo per un giornale con scarsa tiratura.
Il direttore d’orchestra
ha messo insieme un bel concerto in cui ciascuno ha trovato qualcosa di
apprezzabile. Ha creato una sinfonia senza nulla di nuovo nella quale
riecheggiassero motivi di facile presa. Un’orchestra ottima per il Titanic.
Tutti sembrano ammaliati al suono del proprio strumento
preferito, talmente rapiti dall’essere completamente sordi a qualsiasi altro
suono proveniente dall’esecuzione del concerto e così presi dalla musica dal
ritenere ininfluente l’avvicinarsi dell’iceberg.
La sinfonia appaga il gusto di ogni appassionato ad uno
strumento, che sia il violino piuttosto che l’oboe, al punto dal riuscire a
fare in modo che ciascuno senta quel che vuole sentire.
Ogni ascoltatore, felice, segue il proprio ritmo ed è
impermeabile a qualsiasi critica.
Se gli fai notare, durante le prove aperte al pubblico, che
il clarino stona ti risponde “Ma quale clarino! Non senti che archi fantastici?
Questa si che è musica nuova!”.
I suoi ascoltatori, rapiti, non sono
influenzabili dal giudizio di nessuno. Qualcuno avrebbe voluto intervistare il
Maestro ma il compositore e direttore d’orchestra non ha mai rilasciato
interviste, si fa beffa di qualsiasi critica (da qualsiasi parte provenga) ed è
un vero personaggio egli stesso: va ossessivamente ripetendo che una musica
come la sua non è mai stata ascoltata e in questo modo predispone,
ulteriormente, gli ascoltatori ad apprezzarla.
Come un Messia insinua che la musica si divida in prima di
Lui e dopo di Lui.
Mi trovo in difficoltà.
Chiunque sappia di musica, e chiunque sappia di iceberg, sa
bene che non è così ma ad informarsi di musica, ad ascoltare orchestre diverse
prima di formarsi un gusto musicale consapevole, sono sempre di meno.
Strano bastimento il nostro.
Quanto agli iceberg, al coglierne la vicinanza e la pericolosità se ne è
parlato, per un po’, con allarmismo ma ormai quasi tutti sono sul ponte ad
aspettare l’orchestra desiderando una musica che faccia ballare, promesse di
flirt con fascinose dame, bisogno di sogno da liberazione senza essere stati
affatto ancora liberati.
Passa il tempo, l’orchestra suona indiavolata, il direttore
ieratico agita la bacchetta.
Tu pensa
uno che durante il capodanno esplode un botto.
Miccia
corta.
Incidente;
dita che saltano. Ecco. I miei
amici li conto sulle dita di una mano, di quella mano.
Una volte
non era così ma poi, col tempo, le cose sono cambiate. Selettività – nella versione
migliore – o pigrizia, indolenza, inadeguatezza a costruire ragionamenti con
chiunque, hanno portato, via via, a scremare.
Scremare.
E poi la
vita faticosa, la routine, i piccoli (?) guai, i contrattempi, i doveri
scelti o capitati come doni spesso non graditi. Ingombranti.
E allora le
fasi negative che mi giustifico chiamandole riposo, disimpegno, bisogno di
ottundimento piuttosto che mancanza di voglie di socialità.
Man mano si
telefona meno, si mandano meno mail: ci si rintana.
Ci si
rintana in un bozzolo manco troppo caldo, neanche poi così confortevole e
protettivo, non così pieno di placenta nutritiva.
Ci si nutre
con poco.
Si
eliminano le necessità superflue[1],
le cose di cui si può fare a meno.
Resta un
libro, lo sport di tuo figlio, andare in palestra, qualche disco, una battuta
ogni tanto.
La
distrazione di un caffè al bar. Piccoli
progetti sempre vaghi. Fatica. Sempre
presente. Quotidiana,
callosa quindi per ripetitività di gesti.
Poi le cose
capitano.
Scopri che
ti va di parlarne, giusto per metter a parte.
Ti ricordi
che l’amicizia è anche condivisione. Oltre che
affetto. Oltre che
stima.
Ma.
Rivedi la
mano monca.
Vai a
constatare la parziale atrofia delle dita rimanenti. Ripensi a
vagheggiate, e mai ottenute, consuetudini. Ti ritrovi
pronto alla fuga senza nessuno che ti insegua. O, meglio,
non ti ritrovi più. Non ti riconosci
più allo specchio, indugi a cercare i tratti del passato, indulgi in una
melanconia di tutto quello che non hai, non sei, più.
Costruisci
(piccole) determinazioni propedeutiche a uno stile di vita da ripensare.
Tra cui
parlare con gli amici. Riparlare
con gli amici. Non
accontentarsi più del meno.
Una mail è
un surrogato.
Una
telefonata è un surrogato.
Gli amici
si guardano in faccia.
Differenze
da ristabilire tra annusare una bistecca e mangiarla.
Pubblicando nuovamente questo post dell'agosto 2009 rilancio "il disegno di piero" attraverso una delle sue opere più belle e ispirate.
Quanto prima pubblicherò qui opere non ancora mostrate ma "il bacio" è commovente.
marco valenti
Proseguo con il mio desiderio di condividere con chi segue questo blog i disegni di Pietro Valenti.
Dopo aver mostrato viste di Roma e scorci naturalistici, stavolta vorrei iniziare con la sterminata produzione prodotta nei Musei Capitolini.
Questo museo è splendido e lo è ancor più dopo la sua ristrutturazione. I disegni dei Capitolini sprigionano tutta la poesia interpretativa di PV con la sua capacità di distaccarsi spesso dal racconto per entrare nella poesia dell’immaginario.
Proprio per questo voglio iniziare con un esempio in cui confrontare l’originale, “amore e psiche”, con l’interpretazione “il bacio”, 21x29,7, schizzata con rapidità e maestria infinite.
C’è tutto il rapimento della passione colto con pochi tratti essenziali e che si distacchi in modo così evidente dall’originale non ha nessuna importanza: non lo credete anche voi?
Ora è il turno dei crostini
alla crema di peperoni, per i quali occorre preparare la Spuma di peperoni
gialli.
Ingredienti
2 peperoni gialli
una cipolla
prezzemolo
20 grammi di burro
150 grammi di Mascarpone
100 grammi di ricotta
Sale.
Lavare i peperoni privandoli
dei semi e dei filamenti bianchi interni, tagliarli a dadini.
Sbucciare e tritare la
cipolla
Pulire lavare asciugare il
prezzemolo.
Scaldare il burro in un
tegame, fare appassire cipolla e
peperoni e farli appassire senza dorare, a fuco lento per qualche minuto
Passate i peperoni al
setaccio (io li ho passati con il minipimer), e in una terrina aggiungere la
ricotta, il mascarpone, il prezzemolo.
Servire con fette di pane
leggermente tostato.
Al momento sono senza Rebola
e senza Ribolla gialla e mentre scrivo questa ricetta e ricordo il piacere
della cena penso che devo assolutamente provvedere.
Racconteremo ai figli in vacanza qui da noi, dall’estero dove
si saranno trasferiti per cercare lavoro, di come mai vinse e governò.
Diremo
che il competitore era in vantaggio nei sondaggi ma era troppo di sinistra per
alcuni, troppo poco per altri. Cercheremo di spiegare argomenti non facili da
spiegare a distanza di anni: per qualcuno, per esempio, era troppo vecchio non
ostante fosse più giovane di quello che vinse, comunque più anziano di un altro
che avrebbe voluto competere al posto suo.
Dovremo spiegare che il disgusto per la classe politica era
così forte che la cosiddetta società civile aveva candidato uno più a sinistra
e che quello, più a sinistra, gli levò legittimamente quella manciata di voti
che avrebbe scritto la storia in modo diverso. Quello più a sinistra stava con
quelli più a sinistra da sempre, che c’erano prima che lui si presentasse con
la società civile e che la società civile si era comunque sfilata dall’impresa
perché era in disaccordo con quelli dei partiti più a sinistra che si erano
spartiti le candidature.
Altri erano profondamente contro quello che vinse e governò ma non lo erano abbastanza per votare: dicevano che non si può votare contro qualcuno ma solo per qualcun altro che ci convinca.
Non li convinse nessuno.
Racconteremo ai nipoti delle favole che raccontò quello che
vinse. I nipotini sgraneranno gli occhi e chiederanno come fece a dare tutti
quei soldi ai cittadini. Noi gli carezzeremo il capo, sorrideremo bonari, e
spiegheremo loro che non accadde ma che per tanti fu bello crederci o, forse, che in
effetti ce li diede con la mano destra ma ce li sfilò con la sinistra.
Parleremo con i pochi amici rimasti e converremo che, in
realtà e contrariamente a quello che sostenevano illuminati un professore e gran parte
delle industrie del paese, sinistra e destra esistevano ancora all’epoca e con
qualche ragione di esistere. Anche senza i comunisti.
Regaleremo ai nipotini qualche lira per un gelato e loro
usciranno, dopo averci ringraziato con quel loro bell’accento inglese, per
andare a comprare un cono da centomila lire.