marco valenti scrive

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13 dicembre 2010

appunti sulla vespa rossa


Ci fu, ovviamente, un prima della Vespa così come un dopo. Il mio prima fu di disatteso desiderio di ciclomotore, mi irretirono di promesse di automobile a diciotto anni per sedare il mio bisogno di indipendenza. Quando mollarono verso i diciassette con un Piaggio Boxer, rosso, capii dopo il primo momento di gioia che mi avevano fregato. L’automobile non l’avrei vista mai.

Avevo ragione.

Il ciclomotore rosso si azionava a pedali. All’epoca c’era davvero una continuità con la bicicletta. Pedalavi per accenderlo. Roba di liceo e di anni settanta.

Però indipendente o se dicente tale.


Il mio vespone rosso lo lasciai impietosamente alla mercé delle intemperie. Fece il suo dovere, anno dopo anno, ma inevitabilmente il colore andò sbiadendosi e quel bel rosso Ferrari lasciò inesorabilmente il posto ad un pallido e sbiadito rosa.

Antico.

Con la dignità un po’ blasé come certi alberghi. Col sussiego non chiesto a certi anziani si teneva senza lamenti ma ogni inverno, e ogni grandine, e ogni pioggia, lasciava un conto da pagare.

Sempre sorridendo, a volte sputacchiando, la mia Vespa faceva il suo.


Mio figlio, piccolo, in piedi sulla pedana della Vespa. Felice si teneva con i pugni serrati sui sostegni del parabrezza. Era felice di una avventura continuamente nuova ed io con lui.

Comandante. Pilota. Capitano. Padre.

Era meglio delle giostrine. Chi ha avuto sia un figlio che una vespa capisce meglio di chi ne ha avuto solo uno. Intendo un figlio; o una Vespa.

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