marco valenti scrive

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29 giugno 2019

Città del Mare


"La valorosa Téméraire" 1838 William Turner 

La condanna delle Città di Mare è che non possono essere comprese.

Non parlo dei Paesini imbiancati a calce che attirano con il loro nitore e la bellezza delle acque una moltitudine di vacanzieri, pronti a pagare ogni soldo nei bar e nelle pescherie; parlo delle Città Grandi.


Quelle Città lì, dove senti il mare e un Porto importante, che del Mare hanno fatto nei secoli Industria e Vanto, sono state vanitose e splendide. 

Sono, però, vaste, piene, abitate da palazzi e cittadini; sono cresciute senza un fronte, mancando di almeno una direzione poiché occupata già dalle acque. 

Sono cresciute finendo a vivere di altro che non era più quel mare su cui si appoggiavano e che le aveva viste fiorire e assurgere a grandezze infinite. 

Sono cresciute senza quella cura e quel rispetto che avrebbero meritato e quindi in un disordine da boom economico e con la premura di aumentarne i volumi.

Chi le visita non trova le risposte che ha trovato nelle altre Città e vi si smarrisce; gli odori diventano puzza; la mancanza di un certo ordine conosciuto (proprio di altri tipi di luogo) diventa un disorientamento che porta a smarrirne le poesie.

Queste il più delle volte rimangono nascoste agli occhi non allenati del Viaggiatore Disattento e lui scappa via senza la consolazione che soltanto le Città di Mare possiedono. Tornerà a casa a confermare biascicati luoghi comuni o, nel migliore dei casi, rimarrà silenzioso e confuso.

Tornerà solo se costretto da doveri.

Le Città di Mare dovrebbero prestare i loro abitanti al mondo per svelarne tutta l’infinita bellezza; tramutare i loro cittadini in testimoni, in Mappe Viventi, in Gigolò appassionati che affianchino ogni persona che viene da fuori.

Alle Città di Mare dovrebbe andare cura e amore, ma anche risorse che le ricolleghino al mondo, che ne traducano il linguaggio ai forestieri, che ne valorizzino le straordinarie essenze.

Io non potrò mai ringraziare come meritano tutte le persone che mi hanno fatto intuire le Città di Mare del mio Paese, ma è grazie anche a loro che amo Venezia, Genova, Napoli, Bari, Palermo.


Potevo scegliere tante immagini per quel che dico ma preferisco che ognuno abbia nell'animo le proprie.

 Non so parlare delle Città di Mare se non per piccoli morsi felici ma vorrei tanto che le persone le amassero.



31 luglio 2017

Alla Stazione di Falconara Marittima





Domenica. Per tornarmene a casa, a Roma, dalla Romagna prendo il regionale veloce da Cattolica a Falconara Marittima.
È un bel viaggio di poco più di mezzora e se ti siedi a sinistra vedi il mare. Pesaro, Fano, Senigallia. Bello.
Treno affollato ma riesco addirittura a sedermi al piano superiore e nel lato giusto.

Arrivo al binario 4 di Falconara alle 15,07.

Il controllore, mezza età brizzolato leggero sovrappeso, mi vede il biglietto mentre sto scendendo.
“Giusto in tempo” gli dico sorridendo.
Ricambia con un sorriso aperto e simpatico: lo saluto augurandogli buon lavoro.
Per la coincidenza con l’Intercity c’è da aspettare le 15,42; dal binario si vede il mare; mi allontano di due metri dal treno e mi accendo una sigaretta.
In tanti chiedono al controllore, fermo sulla porta del treno dalla quale sono sceso,  da dove parta il treno per Roma.
“Binario uno”.
Lo ripete con cortesia a tutti per poi anticipare, sorridendo, la risposta.
“Roma binario uno,
binario uno,
uno, uno… uno-uno-uno”.

16 giugno 2015

LA METRO E L’IMPERFETTO VIAGGIATORE





La metropolitana è la linea B di Roma; l’imperfetto viaggiatore sono io.

Complice il nuovo capolinea vicino casa decido di andare in stazione con la metropolitana. Alla stazione devo prendere un treno per Torino che parte alle dodici e qualcosa.

Essendo un viaggiatore imperfetto, ansioso, mi muovo con largo anticipo e alle dieci e trenta sono nel vagone della metropolitana. 
Abito blu, trolley e borsa portadocumenti. 
Animo sereno.
Passano cinque minuti ma il convoglio è fermo. Intanto lentamente si riempie di passeggeri.
Annuncio con l’altoparlante: “A causa di un problema alla stazione di Eur Fermi il servizio potrà subire forti rallentamenti”.
Penso che la stazione menzionata è dall’altra parte della città e presumo che i rallentamenti ci saranno ma non da dove siamo fino alla Stazione Termini.

Passano altri cinque minuti e l’annuncio viene ripetuto. I passeggeri si distraggono dai loro smartphone e ci si comincia a guardare in faccia con aria interrogativa. Qualcuno ricorda a qualcun altro che alle undici e trenta dovrebbe cominciare uno sciopero del trasporto pubblico.
Pare sia per il rinnovo del contratto e io per un attimo penso che il mio contratto collettivo nazionale è bloccato dal duemilaotto. Solo un istante. Poi mi concentro sulla situazione.

Passano altri cinque minuti e l’annuncio viene nuovamente ripetuto. Mi allarmo. Benedico l’essere uscito per tempo ma inizio a passare in rassegna le possibili alternative non sotterranee.

Alle dieci e cinquanta altro annuncio: “A causa di problemi alla Stazione di Eur Fermi il servizio è sospeso. Ci scusiamo per il disagio”.
Panico. Le persone sbuffano, si confrontano animatamente, protestano, cominciano a scendere.
Mentre, basito, mi alzo valutando di prendere la Vespa e lasciarla in Stazione le porte si chiudono. Alcuni da dentro provano a riaprirle senza ottenere alcun risultato.
Dopo altri interminabili minuti alle dieci e cinquantasei la metropolitana parte.

Lentamente.

Alla fermata successiva di Conca d’oro le porte si aprono e mentre parecchi passeggeri salgono si sente l’altoparlante nella stazione che dice: “A causa di un problema alla stazione di Eur Fermi il servizio potrà subire forti rallentamenti”.
Lo stesso alla fermata successiva e a quella dopo.
Lentamente, in tempo per avere tempo di aspettare la partenza del Frecciarossa per Torino, arrivo alla Stazione Termini.



Nessuna morale. 
Cronaca dalla Capitale d’Italia.

La tag di questo blog che riporta appunti minimi di viaggio si chiama “Viaggi (taccuini con un senso)”: un punto interrogato forse ci sarebbe stato bene.

8 settembre 2014

Taccuino di treno Roma Pesaro - promemoria



In treno da Roma a Pesaro un giorno di Agosto.

Da quando ho aperto questo blog nel 2008 uno degli argomenti che tratto sono i viaggi. La tag è “viaggi (taccuini con un senso)" e alterna piccole memorie di belle cose a sensazioni e appunti brevissimi di viaggio, ma anche timori, inadeguatezze, piccole manie e paure che provo quale “imperfetto viaggiatore”.

Quel che mi è capitato sull’intercity Roma (17,40) – Pesaro (20,51) prova ulteriormente la mia imperfezione.
Avevo prenotato il posto 10A, lato finestrino, e questo – sappiatelo – se viaggi da solo è già un errore. 
I posti 10 fronteggiano i posti 9, divisi da un tavolino: buoni se hai deciso di fare un viaggio in tre o in quattro e chi si siede al 9A di fronte e al 10B al tuo lato lo conoscevi da prima di salire ma pessimi se sei estraneo agli altri tre che invece si conoscono, salgono come te alla Stazione di Roma Termini e chiacchiereranno in marchigiano fino a Jesi (20,07).
Al mio fianco (10B), a sbarrarmi il corridoio, un giovane maschio che potremmo supporre sui venti anni; di fronte a lui una donna (9B) che potremmo supporre sua madre; di fronte a me (9A) una donna intermedia che potrebbe essere una sorella più grande del 9A o, per dire, una zia. 

Ho con me un paio di libri che vi consiglio e il mio telefono: non ho computer o riproduttori di musica o cuffie o tappi per le orecchie. Non riuscirò a leggere e guardare le cose fuggirmi via dal lato pessimista di marcia non lenirà il mio nervoso in salita costante e continua. 
Il ragazzo parla, parla ad alta voce, dice cose da minorato mentale, parla anche da solo svegliando i suoi congiunti se si addormentano (o fingono di farlo per legittima difesa). 
Il ragazzo parla e usa un frasario che prevede un intercalare di bestemmie e improperi, offese a personaggi pubblici, categorie sociali varie nonché persone che conosce lui e io no. A sentire i suoi giudizi mano male che non le conosco.
Il ragazzo con il suo smarphone cerca - tra le altre cose -  treni notturni per la riviera romagnola, per andare e tornare. La madre anche ha uno smartphone e fa la stessa ricerca. Confrontano a voce alta i risultati insufficienti che ottengono e si avvisano ripetendo almeno un paio di volte ogni volte che non c’è linea e ogni volta che la linea torna. 

Anche se potreste essere indifferenti al fatto, vi posso assicurare che so per certo che non ci sono treni che di notte partono dalla riviera romagnola e vi possono riportare nelle Marche. Fatevene una ragione e andate in automobile o pernottate da qualche parte dopo la discoteca o il concerto o il caspita di cavolo che vi ha attirato in riviera. 

Terni. La zia dorme definitivamente; la madre ogni tanto si sveglia per provare a far stare zitto il mio vicino; lui passa all’ascolto della musica. 
Ma non ha auricolari. 
Non ha auricolari ed è convinto, a torto, di essere intonato. 
Non ha auricolari, il suo smartphone ha un volume della Madonna, canticchia e commenta e la sua selezione è un remix di successi popolari anni ’80 in versione disco. 
Il meglio che ne viene fuori sono gli 883: vi risparmio, lasciandolo alla vostra immaginazione, l'elenco dei remix.

Una ragazza passa in corridoio e gli chiede “scusi: può usare le cuffie per cortesia?” lui risponde “Non ce le ho” lei chiude “Allora abbassi il volume”. 
Guardo la ragazza andare verso la toilette carico d’amore e di gratitudine.

Pausa (di questo breve resoconto – non del nostro) per dirvi dei due libri.
Il primo è un breve saggio di Mario Perniola, “Contro la comunicazione”, Einaudi. 
È diviso in due parti: nella prima prova a spiegare come la comunicazione ormai prescinda dall’essenza dell’oggetto comunicato e possa essere manipolata (e manipolare) mentre nella seconda teorizza un ruolo salvifico dell’estetica rispetto alla lacrimevole situazione che si è venuta a creare. Eccellente, condivisibile e probabilmente importante la prima parte: più discutibile ma comunque interessante la seconda.
Il secondo libro è un romanzo di Chiara Arrighetti, “Un’oncia di rosso cinabro”, editore CartaCanta. Dal sito dell’autrice, bravissima, riporto “A nno Domini 1499. Un omicida si aggira per la bottega dei Francesco e Bernardino Zaganelli, pittori di prestigio imparentati con gli Sforza e divisi da un odio profondo.

Ritratto di un Rinascimento dai mille volti, luminoso e insieme inquietante, Un’oncia di rosso cinabro conduce il lettore nell’universo caleidoscopico della pittura e dell’alchimia.”.


Fine dell’intervallo e dei consigli per gli acquisti.

Torniamo al nostro Signor9A. 
Alle esortazioni della benefattrice andante in bagno, sottolineate con sommessa cortesia dalla mamma, abbassava la suoneria ma, in compenso, sciorinava un compendio di conoscenze delle abitudini sessuali della giovane che aveva civilmente protestato da far invidia ad un sessuologo, ad un ginecologo, ad uno psichiatra e ad un playboy di tempi fortunatamente andati: in pratica la diagnosi del nostro metteva in connessione una repressa attività sessuale della malcapitata (certamente vivace e frenetica fuori dal contesto delle ferrovie) con l’indisposizione che ella aveva manifestato verso la buona musica e le libertà individuali (a riprodurla a volume alto in luogo frequentato e a “cantarla” e commentarla dando seguito naturale ai propri desideri). 
Ometto per civiltà i dettagli estremamente coloriti.
Nell’acme della disquisizione bestemmiatorio sessuale del nostro eroe profferisco le prime parole del mio povero viaggio mentre gli tocco la spalla.
“Mi scusi, dovrei passare”.
Si alza. Lo vedo in viso. Focalizzo il naso da me mentalmente più volte irrimediabilmente fratturato con il gomito sinistro, abbozzo un sorriso, ringrazio e mi avvio alla carrozza bar. 

Sono le 19,00 ed io sono un eroe del bonton, della educazione impartitami, della tolleranza, della resistenza. Non ho il gomito sinistro macchiato del sangue del vicino. Barcollo fino ad un posto libero, lato ottimista del treno, e mi siedo di fronte ad una giovane ragazza, graziosa e munita di cuffie semiprofessionali. Con lei riesco a scambiare solo un paio di battute sull’apertura della tendina per vedere tramonto e panorama. Conviene con me che valga la pena alzare e guardare fuori. Da lì ci divide tutto. Le sue cuffie, il suo smartphone, il suo riuscire a truccarsi perfettamente malgrado i sobbalzi della tratta ed io che nel frattempo ho scritto poche righe di dedica su un mio libro che avrei portato ad una cara amica l’ammiro: la mia scrittura incerta e tremula contro il suo trucco perfetto. Sorrido comunque come uno che si sveglia e si rende conto che, in fondo, è stato solo un incubo. Alle 20,07 Jesi e la discesa del barbaro. Più in là Falconara Marittima, un cambio di motrice e una sigaretta.



Ci si potrebbe chiedere perché mi appunti tutto questo e lo condivida.
A parte i libri, davvero belli, per alcune semplici cose da ricordare per sempre.

Uno: mai prenotare un posto con il salottino se viaggi da solo.
Due: mai più senza musica, o computer, o cuffiette, o tappi per le orecchie.
Tre: improponibile immaginare una società evoluta (credetemi: è troppo tardi).


24 aprile 2014

il treno va




Vagoni del treno - Van Gogh


Amo il treno, viaggiare in treno, le stazioni. Ne ho scritto anche qui, più volte.
Il lato ottimista del treno, le attese sospese lunghe e spesso faticose, i contrattempi, qualche appunto minimo e così via.

Etichetta "Viaggi (taccuini con un senso)"

Adoro Paolo Conte.
E' un grande artista, un ponte tra molte cose, tra la lirica e il jazz, tra l'Italia e la Francia, tra ieri e domani.

Etichetta "Musica con un senso"
Qui il treno va.




Dir che ti penso è un controsenso perché sei sempre qui: sì, tra le mie dita, come la vita che in un sorriso vivi.

Il treno va:
scomparirà sulle sue ruote rotonde
dietro alle nuvole bionde.

Io sono qua, rimango qua
in questa ruggine densa come qualcuno che pensa
a un treno

Tu dove vai? Con quei begli occhi che hai…
Ritornerai? Me l'hai promesso, lo sai


Il treno va, scomparirà dietro alle nuvole bionde.

3 febbraio 2014

Aux pave de Bruxelles e altri piaceri



Con grandissima parsimonia condivido luoghi dove sono stato felice di essere stato.
Quando lo faccio mi convinco che, in fondo, non sono luoghi segreti e che è giusto che altri condividano il piacere che mi hanno dato. Possono essere un ristorante o un museo o un negozio. Possono trovarsi ovunque, prossimi o lontani. Comunque posti tali da alimentare la tag “felice di essere stato qui”.
Sono un piccolissimo promemoria. Considerate il blog come un taccuino mio personale.


Era l’anno duemila ed eravamo a Bruxelles per lavoro. Arrivata l’ora di cena  si girava per le viuzze attorno alla Grand Place indecisi sul da farsi. Tanti locali, moltissimi per turisti, con camerieri che invitano i passanti ad entrare. Smodatamente. Ad un angolo di strada una brasserie con un paio di persone in attesa di entrare. L’anomalia era che aspettavano, che c’era la fila e non i “butta dentro”. Ci affacciammo a curiosare attraverso le ampie vetrate. Un donna di corporatura più che robusta si destreggiava magnificamente tra pezzature diverse di carni su una brace di legna di notevoli dimensioni.
All’epoca riuscimmo a mangiarci soltanto dopo un’ora. Eravamo il mio capo ed io e uscimmo sazi e soddisfattissimi. Ottima carne, varietà di birre adeguata a Bruxelles, dolci squisiti, cortesia, ambiente rustico ma con classe.
Aux pavés de Bruxelles.



Sono tornato a Bruxelles sempre per lavoro, quasi sempre con i tempi strozzati da impegni e riunioni con la Commissione europea, non ho mai avuto tempo per godermela se non per manciate di minuti. Quella brasserie, volta dopo volta, è stata sempre un piacere e una consolazione.
L’ultima volta a gennaio  (era qualche anno che non andavo) con la complicità involontaria di una riunione fissata di venerdì ho allungato ed ho fatto il turista facendomi raggiungere da Delia.
Non ho potuto esimermi dall’invitarla a cena lì, Aux pavés de Bruxelles. Diverso l’Asador. Non c’è più la signora che c’era anni fa ma la brace di legna di bosco è governata con sapienza enorme e puoi vedere preparare i piatti davanti i tuoi occhi aggiungendo soddisfazione a soddisfazione.




Poi, suvvia, diciamolo: non avevo visto l’Atomium se non sui libri e, soprattutto, non conoscevo il museo del fumetto, non ero mai riuscito a visitare la casa – oggi museo – di Victor Horta e non avevo mai assaporato  il piacere di coniugare Bruxelles con la vacanza e il tempo libero. 

Se l’architetto belga Horta ha inventato l’Art Nuveau  è vero anche che dalla tradizione dei fumetti  in Belgio hanno inventato Tintin, Luky Luke e i Puffi. 
Mettiamoci anche che il Centro belga del fumetto è ospitato in un edificio progettato da Horta e ci avviciniamo alla perfezione.




Una prossima volta da turista tra i numerosi musei che non ho ancora visitato (della birra belga, del cioccolato e del cacao, del cinema, degli strumenti musicali…) non mancherò il Magritte Museum. 
Già. 
Oltre Hercule Poirot era belga anche René Magritte.

Si aggiunga un fine settimana di gennaio con il sole e si concluda che non di sola birra (buona) vive l’uomo: felice di essere stato qui vi lascio qualche indirizzo utile e qualche fotografia.



29 ottobre 2012

un sette di ottobre non qualsiasi, comunque a Venezia


Difficile raccontarla con le parole: per fortuna ci sono le immagini.















Capita a Venezia (che è bella E ci vivrei) dove incrociamo giornate di sole pieno che spazza quel po’ di nebbia del mattino presto.
Ottobre e maniche corte.
Viste non previste, inconsuete, che emozionano continuamente. Sguardo meravigliato, improvvisamente, su due giapponesi ad un tavolino di là da un canale.
Sembrano sospese, quasi, sull’acqua. Cos’è?




Si cambia vista e le si sorprende da dentro: è un ristorante.

Le si invidia un po’ e perciò si prenota e si torna il giorno dopo. Felici di un prosecco sul canale, come le giapponesi del giorno prima, a intercettare sguardi e gondole e sentire la città dabbasso.
Mangiando bene e ricordando meglio un 7 ottobre.









Se la bellezza è nell’occhio di chi guarda, Venezia è occhi azzurri infiniti in ogni suo sguardo.
Sempre inconsueta e sempre piena di felicità da dare a chi ama e a chi resta un bambino curioso.


2 luglio 2012

Il Ruchè, Torino e il ristorante consorzio


Già qualche volta ho raccontato di posti che ho avuto la buona sorte di conoscere e che sono legati alla enogastronomia. Non è stata mai, finora, una cosa sistematica e non penso possa diventarlo.
Tuttavia ci sono casi in cui la sorpresa piacevole è molto grande e sarebbe ingiusto tenere nascoste certe gioie che potrebbero essere condivise.
Se a Torino, città che adoro, trovi un posto come il Ristorante Consorzio non puoi limitarti a fare loro i complimenti.
In questo presidio Slow food familiare e accogliente, in pieno centro cittadino (Via Monte di Pietà) che ha un menù degustazione a 30 euro di assoluto rispetto, ho cenato il mese scorso in ottima compagnia.

La mia scelta è andata su una Cruda (tris di carni crude battute a coltello),  Ravioli di cervella con zenzero e mandorle assolutamente sorprendenti, e un pollo tonchese croccante che prima di diventare tale aveva cotto a fuoco lentissimo con una preparazione del piatto che dura  trentasei ore.
La scelta dal menù è stata durissima: la mia curiosità andava anche a diversi altri piatti.
Tornerò sicuramente per togliermela.
Sono simpatici, gentili, spiegano ogni piatto come si deve e soprattutto hanno materiali di primissima scelta e cucinano benissimo.
Tra l’altro ho conosciuto un vino rosso piemontese che, confesso, non avevo ancora mai bevuto: il Ruchè di Castagnole Monferrato.












Siamo tra Asti e Alessandria, appena più a sud della terra del Grignolino, e il vino che ho bevuto è un rosso rubino appena violaceo, aromatico, secco e tannico, di 13 gradi che al mio palato sprizza uva e sprizza botte e mi fa godere di più il raviolo ripieno di cervella ed il gran pollo che lo segue.
Abbiamo fatto decisamente amicizia (Ruchè ed io) e tornato a casa ho fatto i compiti per colmare la mia ignoranza. Ho scoperto che non se ne produce in grande quantità e che non si hanno notizie storiche certe della coltivazione ma soltanto derivate da tradizione orale; ho pensato dovesse essere roba contadina con meno tradizione di altri rossi piemontesi.
Viene prodotto in sette comuni della Provincia di Asti con un 90% di vitigno Ruchè e il resto di Barbera e Brachetto; DOC da un paio di decenni ha avuto il riconoscimento del Garantito nel 2010.

Chi scrive di vini dice:
Colore rosso rubino con leggeri riflessi violacei talvolta tendenti all’aranciato;
odore intenso, persistente, leggermente aromatico, fruttato, anche speziato con adeguato affinamento;
sapore secco, rotondo, armonico, talvolta leggermente tannico, di medio corpo, con leggero retrogusto aromatico, talvolta con sentori di legno.

Io chiudo dicendovi ancora che Torino è splendida, ospitale, piena di eccellenze museali, di civiltà, di gusto; tempio del buon bere, del bel mangiare, dei formaggi e della pasticceria, culla del migliore cioccolato del mondo.
Invito ad andare e a non perdervi la soddisfazione del ristorante consorzio.
Se andate fatemi sapere.