le cose ci sono, sono lì a rispondere ai nostri sguardi più o meno sicuri, alle domande che non facciamo e nemmeno sappiamo, a salvarci e a condannarci: sempre e pur tuttavia solo cose.
Sarebbero chiare se noi non fossimo così confusi. Non sono le cose a comandare ma l'atteggiamento che abbiamo noi di fronte ad esse. Come ci poniamo, come scegliamo se parlare o meno e cosa dire e cosa tenere per noi e non condividere.
Cosa lasciare andare.
Non è
dovuto al luogo (in questo caso la spiaggia romagnola) ma al tempo estivo e ai
tempi che corrono.
Perciò dopo aver ispezionato per qualche giorno le letture
in corso sui lettini e sotto gli ombrelloni; dopo aver osservato orge di
tatuaggi ed epifanie di ammiccamenti; dopo aver visto a sufficienza esposizione
– sovraesposizione – di pelli che avrebbero meritato maggiore pudicizia; mi
sono reso conto che passeggiare senza occhiali sul naso ha almeno un paio di
vantaggi.
Il primo
vantaggio assolutamente edonistico è il perseguimento di una abbronzatura priva
di segni bianchi da stanghette e naselli. Il secondo è poter vedere letture
indistinte e non dover riconoscere quasi esclusivamente rotocalchi insulsi che
vivono riportando foto e gesta di personaggi illustri o, più spesso, aspiranti
notorietà; non distinguere scritte volgari sulle magliette; poter immaginare
solo nudità di classe.
Benedetta
ipovedenza!
Colonna
sonora: Giuni Russo – “Un’estate al mare”.
Sono in coda per imbarcarmi su un volo di linea nazionale.
Arriva una giovane donna africana, jeans, scarpe da
ginnastica e una grossa borsa di tela. Capelli cortissimi. Minuta, magra.
Salta la fila e si mette tra me e un
signore alto che mi precede.
L’uomo si gira e rivolgendosi alla giovane le dice “C’è una
fila da fare: mettiti in coda” ma lei guarda lui, poi me, e quindi abbassa la
testa.
“Magari non capisce” dico io incrociando l’uomo e lui mi fa “Non
capisce ma la fila lunga la ha saltata quasi tutta”.
Alzo le sopracciglia e non parlo più.
L’uomo alto si gira borbottando qualcosa.
Cominciano le operazioni di imbarco.
Ora direte perché la racconti? Perchè di mio le avrei parlato magari in inglese ma, in caso di incomprensione, poi l’avrei
tenuta per una spalla con la mano sinistra indicandole con la destra la coda della
fila che non stava facendo ma non lo ho fatto. Ed è stato per quell’ipocrita
bon ton di non voler passare agli occhi di nessuno una persona che discrimina o
che è anche vagamente venata di razzismo.
Poiché odio profondamente le file,
quasi quanto i soprusi, ho sbagliato per timore di sbagliare.
Un po' come non fare una carezza in testa a un bambino in un parco perchè hai visto mai ti guardano male con tutti i molestatori che ci sono in giro.
Ripubblico adesso un post scritto nel 2010 e a Roma. Lo faccio mentre si parla di immondizia e di chi rovista tra i rifiuti pensando di perseguire qualcuno. Accattone, questuante, rifiuto e rifiutato. Tempi sciocchi. Consideratelo una ironia, o una allegoria, o un appello inascoltato: non importa...
Tempo fa ho fatto una passeggiata nei giardini della Mole Adriana, Castel Sant’Angelo. Anche lì ho trovato le cornacchie. Uccelli spazzini e spietati, sprezzanti, piluccavano immondizia e facevano scempio dei cestini dei giardini.
Per scempio, lo dico per chiarezza, intendo che buttavano immondizia per terra, prendendola dai cestini, e cercavano cibi e avanzi.
Venti anni fa (e più, ahimè) mi chiedevo come fare con piccioni (luridi e infestanti) e storni; mi domandavo come preservare le specie avicole di Roma.
Troppo piccoli passerotti e usignoli per resistere.
Oggi corvi, cornacchie e gabbiani stanno distruggendo l’ecosistema della capitale. Distruggono, avanzano, demoliscono, attaccano. Sono impavidi, sfacciati, se ne fregano di tutto e di tutti. Nei giardini non c’erano più passerotti né altri volatili. Il corvo sporco lo ho trovato padrone incontrastato.
Nel mio terrazzo merli, tortore, passerotti ancora. Sopra gracchiare di corvo. Due tortore sono nate qui, nel mio terrazzo. I merli cercano refrigerio nel mio innaffiare (chi se ne frega della odiosa e inutile zanzara) ma la minaccia è anche qui.
Ieri ho sentito un gabbiano, addirittura. Non lo ho avvistato ma c’era.
Arrivano.
Stanno arrivando.
Nessuno fa niente e cornacchie e gabbiani arriveranno.
Nell’indifferenza generale cacceranno passerotti e merli.
Presi da problemi più grandi ce ne disinteressiamo. Quelli, i volatili nuovi e cattivi, scacciano e sterminano le specie più deboli e mansuete.
Si impongono nell’indifferenza generale e passeggiare per un giardino diventa lo squallore del vedere all’opera uccelli raccogli immondizia e ammazza tutto.
Noi, gradatamente, ci abituiamo e nessuno dice nulla.
Il giorno che una cornacchia si poserà davanti ai miei occhi sul mio terrazzo tirerò fuori la mia fionda.
Lo farò perché sono inviperito che mi cambi la città e che nessuno dica nulla. Si vede che non è di moda.
Un po’ come il fatto che tempo fa si parlava del proliferare dei topi in città e oggi non se ne parla più.
Mentre aspetto arrivi la moda di arrabbiarsi per il proliferare di gabbiani, corvi e cornacchie ai danni di tutti gli altri uccelli scrivo questo piccolo post.
Mi diverte infinitamente pensare che, se volete coglierla, questa mia è una formidabile metafora.
Fionda inclusa.
Il post è squisitamente nel tema ma se l’avete colta, la metafora, mi sa di buono.
Quando ero ragazzo ho votato per Berlinguer e per il suo
partito. Oggi si direbbe che sto facendo outing.
All’epoca si muoveva la critica, da parte di chi non aveva
simpatia per Enrico Berlinguer e per il Partito Comunista italiano, che il
segretario non avesse titolo a rappresentare gli interessi delle classi
lavoratrici e del comunismo per un motivo che provo a sintetizzare così: “Berlinguer
c’ha mezza Sardegna”.
Il senso era che poiché Enrico Berlinguer era un possidente
e aveva proprietà diffuse nella sua Regione non poteva essere comunista (“la
proprietà privata è un furto”) e non poteva avere titolo a rappresentare il
Partito e contrastare il governo democristiano.
All’epoca ci ragionai.
Malgrado fossi giovane ragionavo
molto.
Non ho mai saputo quali fossero le fortune economiche di Berlinguer ma
non mi pento di averlo votato e credo che quello che diceva fosse giusto.
L’attacco era uno slogan che, a mio parere, non aveva
fondamenti ostativi alla attività politica del soggetto in questione.
Era uno slogan che oggi definiremmo populista e di facile
presa ma che sottintendeva un ragionamento politico.
Sono passati molti anni.
Gli slogan e le frasi ad effetto hanno la loro importanza.
Sono efficaci e lasciano il segno.
Non ho nulla contro gli slogan e tornando all’esempio che ho
fatto credo che chiunque abbia diritto ad avere idee sociali e politiche e a
professarle liberamente.
Auspico che questo avvenga civilmente e fuori da
disposizioni e atteggiamenti censori.
Auspico poter parlare di frasi e slogan (anche mediante
frasi e slogan) e di poter ragionare sempre su quello che c’è dietro lo slogan.
Se dietro non c’è un pensiero consapevole difendibile è impossibile dialogare.
Non è sulle frasi fatte o sugli slogan o sulle parolacce che si può ragionare:
serve parlare di pensieri articolati e saper articolare compiutamente le
proprie argomentazioni.
Servirebbe dialogare a qualsiasi livello:
disperatamente e ostinatamente.
Al concerto del primo maggio, a Roma, il cantante Piero Pelù
ha detto – dal palco – che l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri
(Matteo Renzi) è “Il boy scout di Gelli”.
Considerando che Licio Gelli era il
capo di una loggia massonica coperta (la P2) e che viene considerato architetto
di notevoli nefandezze di ordine politico e di potere la frase era chiaramente
offensiva.
La risposta di alcuni esponenti del partito del Premier
(partito erede di quel P.C.I di Enrico Berlinguer) è stato che Pelù è un
milionario e che non sa quel che dice, che essendo ricco non ha titolo ad
attaccare il Premier, che non rappresenta “la gente” e che facesse il cantante
e pensasse a cantare.
Una serie abbastanza copiosa di critiche.
Io non so se Piero Pelù sia ricco o ricchissimo e magari
possegga mezza Sardegna (o un quarto di Toscana) ma quel che vorrei chiarire è
che non può essere questo il problema o il campo dei ragionamenti.
Battute contro il Presidente di turno dal concerto del primo
maggio ce ne sono state sempre e spesso sono state feroci.
Rispondere che “Dovrebbe stare zitto perché è ricco” mi
riporta a Berlinguer.
Sono francamente persuaso che la maggioranza dei miei
compatrioti sia stupida (resa instupidita) e che dietro a slogan e frasi ci sia
pochino ma spero che una piccola minoranza abbia seguito quel che ho scritto.
Oggi la Pagina Facebook Berlinguer festeggia l’aver
raggiunto 400.000 Like.