In coda all’imbarco.
(Storiella accadutami veramente:
categoria apparentemente semplice).
Sono in coda per imbarcarmi su un volo di linea nazionale.
Arriva una giovane donna africana, jeans, scarpe da
ginnastica e una grossa borsa di tela. Capelli cortissimi. Minuta, magra.
Salta la fila e si mette tra me e un
signore alto che mi precede.
L’uomo si gira e rivolgendosi alla giovane le dice “C’è una
fila da fare: mettiti in coda” ma lei guarda lui, poi me, e quindi abbassa la
testa.
“Magari non capisce” dico io incrociando l’uomo e lui mi fa “Non
capisce ma la fila lunga la ha saltata quasi tutta”.
Alzo le sopracciglia e non parlo più.
L’uomo alto si gira borbottando qualcosa.
Cominciano le operazioni di imbarco.
Ora direte perché la racconti? Perchè di mio le avrei parlato magari in inglese ma, in caso di incomprensione, poi l’avrei
tenuta per una spalla con la mano sinistra indicandole con la destra la coda della
fila che non stava facendo ma non lo ho fatto. Ed è stato per quell’ipocrita
bon ton di non voler passare agli occhi di nessuno una persona che discrimina o
che è anche vagamente venata di razzismo.
Poiché odio profondamente le file,
quasi quanto i soprusi, ho sbagliato per timore di sbagliare.
Un po' come non fare una carezza in testa a un bambino in un parco perchè hai visto mai ti guardano male con tutti i molestatori che ci sono in giro.
“Ciao a tutti: mi chiamo Marco e ho un problema”.
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