Buster Keaton.
Era nato il 4 ottobre del 1895.
Un monumento alla mimica, alla tenerezza e alla
espressività.
Solo incidentalmente comico.
Succede che tra artisti uno ne chiami un altro e mi ritrovo
Francesco Guccini che decide, improvvisamente, di fare un album dove la musica
conta.
Una musica di cui riflettere. Lui la lascia un po’ in
sordina nelle registrazioni.
Sbaglia un po’ a rimanere nel consueto ma Signora Bovary è
un dio di disco.
Ci mette dentro una canzone, Keaton, che è una coltellata
sull’amicizia e… su Keaton.
Lo chiamavamo Keaton quel pianista naturalmente
perché non sorrideva mai mentre noi ci
ammazzavamo di risate a vederlo là, come un parafulmine, dritto contro un cielo
di guai.
Guai di tasca a violoncello, guai d' amore, guai
da vita distratta e disperata che ricamavano dentro al suo stupore una tela affascinante, ma un po' troppo
delicata.
Keaton si presentò come un jazzista, appassionato
e puro, in stile Rete Tre, coi pregiudizi di chi si sente artista perché non faceva soldi, lui, con le
canzoni, come me, ma non mi accompagnava poi malvolentieri, eravamo
due grandi acrobati della malinconia e
poi, poi dobbiamo farne di mestieri noi
che viviamo della nostra fantasia...
Parlavamo poi molto in quelle sere, in qualche bar, dopo il concerto, insonni e
morti, di politica, ciclismo, storie vere e di come i "Weather Report"
erano forti e di come era importante
fra la gente non essere solo musica e
parole e di come era importante che la
gente non fosse una massa di persone
sole
Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto,
Keaton?
Sei
poi andato in malora, Keaton?
Lo sai che ti sto venendo a cercare?
Keaton, ah, Keaton, perché stanotte, Keaton
proprio stanotte, Keaton, avrei bisogno di
sentirti suonare
S' illuminava poi come di colpo lungo l'
effimero consueto di una sera, s' illuminava di una gioia grande quando si
avvicinava a una tastiera e preferiva
quelle un poco usate, quelle in cui tutti mettono le mani, quelle ingiallite
dal tempo, un po' scordate dall' ignoranza e dalla passione degli umani…
E poi una volta abbiamo litigato per una
donna prima sua e poi mia,
lui coi suoi guai, io col mio quasi peccato, sconfitti
entrambi dalla gran malinconia,
ci siamo persi quasi senza una parola, ma tutti
e due con più rabbia che rimpianto, come i bambini che si fan dispetti a scuola,
come due vecchi che si sono amati tanto…
Poi ho provato a rintracciarlo dappertutto,
chiedendo
a più d' un dirigente supponente,
telefonando
all'Arci-caccia, all'Arci-tutto, ma di Keaton sembra non sia rimasto niente.
Se se ne parla è nel ricordo di un momento, qualcuno
dice che l' ha visto, ma lontano, e tutti, tutti con un gran sorriso spento come
per dire:
"Era un ragazzo troppo strano”.
Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton? Se
mi vedessi col mio trench stile Bogart, Keaton, sotto la pioggia che ti vengo a
cercare.
Keaton,
ah, Keaton, perché mi manca, Keaton, questa notte mi manca la tua voglia di
star qui a suonare…
E finalmente un chissacchì non mi delude, forse,
però non sa, probabilmente, è in una provincia lontana come una palude dai nostri discorsi di suonare fra la gente.
Una provincia come una sconfitta, meno che essere una minoranza dignitosa, e
una palude è certo troppo fitta di voli di zanzara per suonarci qualche cosa…
Lo trovo e sembra che non sia più Keaton, anche
se è contento di vedermi. "Sembrava facile toccarlo con un dito",
dice, "ma il cielo ci ha voluto tutti fermi”.
E finalmente ride, ma ride tanto ed è ingrassato
e giura troppo che non sta poi male,
il jazz ormai se l' è dimenticato:
ci son
parole, tempi e ritmi anche dentro un ospedale.
E nel lasciarmi all' inizio della sera
"E' come", dice, "alla fine
del cinema muto, c'è il sonoro, non serve una tastiera..."
Ci
salutiamo nel silenzio più assoluto.
Ed esco fuori con i miei giornali e non ho voglia di ridere per niente, ho un
treno che mi aspetta alla stazione, mi dà fastidio anche il rumore della gente...
Ah, Keaton, Keaton!
Keaton, quello vero, l' ultima volta che l' hanno
visto passeggiava lungo le strade e per il vento di Roma durante le pause di un
film con Franchi e Ingrassia.
Aveva in corpo mille litri di alcool, la
faccia la solita, senza allegria; si ubriacava ogni giorno con la troupe borgatara
alla faccia della cirrosi epatica, perchè lui ci teneva al suo pubblico, più
che al suo fegato, e gli elettricisti sono gente simpatica;
gli urlavano
infatti "anvedi s'è forte 'sto Keaton!” bevendo il bianco misterioso dei
colli di Roma o quello forte del sud che fa assaggiare l' infinito a tutta la
gente di bocca buona.
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