marco valenti scrive

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11 aprile 2014

Bivi



Freddi pomeriggi di febbraio
Sarmenti tagliati da raccogliere tra l’erba
Strofino forte le manocce ghiacciate
Il filare non finisce più
La voce di nonna mi rincuora: 
“Forza, forza… 
pensa ca co tre mattucce 
ci cocimo no forno de ciambelle”

E il lavoro passa più leggero.

Non è questione di mese ma di etichetta.

Un amico mi ha portato un vino rosso che non conoscevo. Regione Lazio. 
Ha casa a un passo dalle vigne di quel vino. Strade di crinale, poggi, pendenze importanti. Vigne in salita, faticose da governare. 
Ma c’è il crinale esposto meglio e l’uva se ne giova.

Ne parla Veronesi di questo vino e per me è come dire che sta scritto nella Bibbia. Poi, da quel libro del 1961, per anni c’è stata poca cultura vinicola, parcellizzazione delle terre, e in tanti si sono fatti il loro vino ma per sfizio. Per poter dire “il mio vino”.

I vini di Roma sono passati nella memoria collettiva a vini da taverna, magari genuini ma poco colti: la memoria va alle grotte dei Castelli romani, ai bianchi sfusi di quando ero ragazzino, fave e Frascati, al vinaio che veniva da nonno con il furgone e le damigiane di Cannellino. I vini importanti erano toscani o piemontesi.

Ma i vitigni ci sono sempre stati, alcuni eccellenti, e nel tempo si è avuta una cura sempre maggiore nelle tecniche di vinificazione e nel mantenere forte il legame con i territori e le loro caratteristiche.

Complice una bistecca di manzo presa dal macellaio di fiducia, notevole per bontà e dimensioni, ci decidiamo a stappare con il suo bell’anticipo e a onorare il regalo ricevuto.



“Bivi! 
Bevo e sfato ancora l’idea di vino a quattro soldi da povera osteria, greve, che da in testa; demolisco con gioia l’idea di vino di seconda classe nel Lazio con quello splendido Cesanese del Piglio. 
Mi godo e stragodo il suo sapore morbido, quella punta di amarognolo, il suo bel colore rosso rubino e tutti i suoi quattordici gradi e mezzo. 

Ho brindato all’amico fraterno che me lo ha portato. 
Straordinario. 

L’amico con cui condivido (anche) una provata fede calcistica romanista mi perdonerà se per questa unica volta mi son detto forza Lazio!”


Poi (dopo) ho scoperto che il Cesanese è stato il primo a diventare a denominazione di origine controllata e garantita nella Regione, che è un ottimo vitigno tipico nel frusinate e nella bassa provincia romana, che è vinificato in purezza e sempre dopo sono andato a verificare sul libro di Luigi Veronelli “I vini d’Italia”.


Cito un articolo che ne parla con competenza:

BIVI !
(bevi)
Cesanese del Piglio
D.O.C.G.C.
Vendemmia 2012





È dono del padre. È sole nel calice. È ruvida mano. È ricordo di zolle. È ossequio al passato. È autoctona schiettezza. È sorriso rubino. È fiore sbocciato. È ciliegia carnosa. È vento che soffia nel bosco. È sapore che riempie la bocca. È atto d’amore. È il mio vino.
Maria Elena Sinibaldi


Andatelo a cercare e mi ringrazierete!


12 marzo 2013

cacchione maroso!



Cacchione maroso!

Le vineria naturale ORGANIC%L è a un passo da casa e le loro gentilezza, disponibilità e competenza sono garanzie che mi aiutano a bere bene e mi stimolano a continuare a raccontare qui, su questo blog, alimentando la tag “bere con un senso” e a parlare di Vini, di Ricette e di godimento e civiltà.

La premessa è d’obbligo.



Si ragionava di una confezione di aringa e di un’altra con un trancio di salmone affumicato al naturale; giravano tra noi due ipotesi di gloria culinaria, abbinamenti di yogurt e patate lesse, riso profumato a stemperare il salato, tartine per accogliere quell’avanzo di cipolline in agrodolce.

Ripercorrevo la disponibilità di bianchi in cantina senza convincermi e perciò siamo entrati a chiacchierare di menù e eccellenze enologiche a corto raggio, una sessantina di chilometri da Roma, di vino biologico e di vino biodinamico, del tocai portato nel Lazio dagli agricoltori veneti con la bonifica pontina del duce e di vitigni che hanno ormai perso il loro nome ma gli somigliano.

Siamo usciti con una ventina di minuti e una decina di euro spesi bene: in mano una bottiglia di bianco del duemiladieci e tredici gradi e mezzo da rinfrescare in frigorifero prima di cena.




L’aringa è finita spezzettata tra le patate lesse ancora calde e una salsa di yogurt greco e una punta di maionese e due pezzettini a virare a pesce le tartine con le cipolline fatte in agrodolce con l’uva sultanina e i pinoli: il salmone in un letto di riso bianco col profumo del finocchio selvatico e un filo d’olio buono.





Su tutto e sopra a tutto il vino Maroso dell’Azienda I Pàmpini, di Acciarella (Latina).
Più a Sud di Anzio, tra Nettuno e il Circeo, a ben poca distanza dal mare.
A me, che adoro il salato, il salmastro, il torbato dei single malt delle Isole scozzesi mi è splosa una sinfonia nel gusto e nel cervello.
Il nome che danno al vitigno Bellone, nipote non riconosciuto di Tocai, è Cacchione.

Producono con uve biologiche, lavorano bio – biologico e biodinamico -  e straordinariamente bene, pochi solfiti e assenza di schifezze.
Profumo di frutta e retrogusto mandorlato e in bocca il sapore del mare.
Lascio foto della cena e link che sanno parlare meglio di me sul Maroso, sul biologico e sul biodinamico.

Una descrizione di una degustazione del Maroso:

Un articolo sul biologico, il biodinamico, i regolamenti:

L’Azienda:





Loro si chiamano organic%l, stanno a Roma al 305 di viale jonio, organizzano cose belle e vendono solo cose buone. http://www.organicool.org/