Questa storia parla di
calcio ma la racconto per concludere di altro.
Prima dell’inizio della
corrente stagione calcistica ho disdetto il mio contratto con Sky che mi aveva
accompagnato nella visione di quasi tutte le partite della squadra per la quale
tifo da tutta la vita (più poche altre partite).
Una questione di analisi costi
benefici e un principio di intossicazione da tifo.
Lo ho fatto per due motivi.
Il primo è un profondo disaccordo con la politica commerciale di Sky che per
darti libertà di vedere le partite di calcio della Roma mi costringeva ad avere
sia il pacchetto Calcio che il pacchetto Sport; il secondo è che il partner
fondamentale degli ultimi anni, mio figlio, abita distante e ha altri interessi
e altri modi per vedere le partite.
Non ho quindi mai visto
partite quest’anno, ho sofferto girellando su internet e mi è mancato moltissimo
il formarmi una opinione diretta sul gioco della mia squadra.
Avere una
opinione seguendo attentamente le partite di calcio è altro da quello che puoi
ricavare leggendo resoconti giornalistici e – non secondario – sono stato,
assai spesso, in forte disaccordo con la quasi totalità dei giornalisti
sportivi.
Con il precedente
allenatore, Luciano Spalletti, spesso non erano in grado neppure di capirne
correttamente il modulo di gioco e comunque giudicavano e giudicano quasi
esclusivamente in base al risultato finale della gara.
Avere una opinione diretta e
saperla motivare mi davano la possibilità di controbattere – avendone voglia –
ricostruzioni fantasiose e infondate su partite, campionati, coppe.
Negli sfottò sui social sono
(quasi sempre) riuscito a rimanere nel buon gusto e ho evitato di commentare le
cose più becere che ho letto tra le reazioni ai già mediocri articoli dei
giornali sportivi.
Il punto è che sapevo, ero
in grado di discutere, trovavo persone con un quoziente di intelligenza
sufficiente per chiacchierare di gioco oltre il tifo. Solitamente ascoltavo se
si parlava di partite che non avevo visto intervenendo solo su qualche episodio
eclatante che la televisione e il web mi avevano fatto vedere comunque; se
invece il tema era la mia squadra argomentavo i miei convincimenti.
Ora non posso più farlo e
intervisto mio figlio prima di leggere o ascoltare opinioni di giornalai e
tifosi. Del resto in passato se discutevo di una partita della Roma con
qualcuno la prima domanda che facevo era se avesse visto o meno la gara.
Perché a parlare senza
sapere son buoni tutti.
Quest’ultima frase è il cardine
e il motivo della mia storiella.
Se non conosco una cosa ma
ho solo una impressione in merito ad essa non ne parlo. Il non parlarne mi pare
una cosa di buon senso e di prudenza.
Trovo incredibili diverse
cose oggidì: chi dovrebbe essere tenuto a conoscere un argomento (per ruolo, posizione,
responsabilità) e ne parla dimostrando tutta la sua ignoranza, chi prende il
falso per vero e parla, chi parla influenzato da colossali bufale (o dal tweet
di qualcuno), chi si accanisce avventurandosi in ambiti che prevedono e pretendono
conoscenze e studi specifici che non ha, chi usa solo la fede ma non sa cosa
sia la ragione, chi conosce il vero ma non ha voce per smentire il falso.
Io potrò anche vedere
qualche partita della Roma al pub ma questo Paese va a rotoli.
(Sempre forza Roma, comunque)
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