marco valenti scrive

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1 settembre 2018

Calcio: non solo!





Questa storia parla di calcio ma la racconto per concludere di altro.

Prima dell’inizio della corrente stagione calcistica ho disdetto il mio contratto con Sky che mi aveva accompagnato nella visione di quasi tutte le partite della squadra per la quale tifo da tutta la vita (più poche altre partite). 


Una questione di analisi costi benefici e un principio di intossicazione da tifo.

Lo ho fatto per due motivi. Il primo è un profondo disaccordo con la politica commerciale di Sky che per darti libertà di vedere le partite di calcio della Roma mi costringeva ad avere sia il pacchetto Calcio che il pacchetto Sport; il secondo è che il partner fondamentale degli ultimi anni, mio figlio, abita distante e ha altri interessi e altri modi per vedere le partite.

Non ho quindi mai visto partite quest’anno, ho sofferto girellando su internet e mi è mancato moltissimo il formarmi una opinione diretta sul gioco della mia squadra. 
Avere una opinione seguendo attentamente le partite di calcio è altro da quello che puoi ricavare leggendo resoconti giornalistici e – non secondario – sono stato, assai spesso, in forte disaccordo con la quasi totalità dei giornalisti sportivi.

Con il precedente allenatore, Luciano Spalletti, spesso non erano in grado neppure di capirne correttamente il modulo di gioco e comunque giudicavano e giudicano quasi esclusivamente in base al risultato finale della gara.

Avere una opinione diretta e saperla motivare mi davano la possibilità di controbattere – avendone voglia – ricostruzioni fantasiose e infondate su partite, campionati, coppe.
Negli sfottò sui social sono (quasi sempre) riuscito a rimanere nel buon gusto e ho evitato di commentare le cose più becere che ho letto tra le reazioni ai già mediocri articoli dei giornali sportivi.

Il punto è che sapevo, ero in grado di discutere, trovavo persone con un quoziente di intelligenza sufficiente per chiacchierare di gioco oltre il tifo. Solitamente ascoltavo se si parlava di partite che non avevo visto intervenendo solo su qualche episodio eclatante che la televisione e il web mi avevano fatto vedere comunque; se invece il tema era la mia squadra argomentavo i miei convincimenti.
Ora non posso più farlo e intervisto mio figlio prima di leggere o ascoltare opinioni di giornalai e tifosi. Del resto in passato se discutevo di una partita della Roma con qualcuno la prima domanda che facevo era se avesse visto o meno la gara.

Perché a parlare senza sapere son buoni tutti.

Quest’ultima frase è il cardine e il motivo della mia storiella.

Se non conosco una cosa ma ho solo una impressione in merito ad essa non ne parlo. Il non parlarne mi pare una cosa di buon senso e di prudenza.

Trovo incredibili diverse cose oggidì: chi dovrebbe essere tenuto a conoscere un argomento (per ruolo, posizione, responsabilità) e ne parla dimostrando tutta la sua ignoranza, chi prende il falso per vero e parla, chi parla influenzato da colossali bufale (o dal tweet di qualcuno), chi si accanisce avventurandosi in ambiti che prevedono e pretendono conoscenze e studi specifici che non ha, chi usa solo la fede ma non sa cosa sia la ragione, chi conosce il vero ma non ha voce per smentire il falso.

Io potrò anche vedere qualche partita della Roma al pub ma questo Paese va a rotoli.

(Sempre forza Roma, comunque)

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