La politica spiegata con il
gioco del pallone
Nel nostro Paese sono quasi
tutti esperti di calcio.
Ne parlano con animo e con
passione. Molti vedono le partite in televisione; altri allo stadio; tantissimi
leggono i giornali sportivi e chiacchierano, più o meno tifosi e con più o meno
calore, con amici, colleghi di lavoro, avventori al bar. Si intendono di
tecnica, si informano dei profili dei giocatori professionisti, ascoltano le
radio private e vedono le trasmissioni televisive che parlano di pallone.
È di gran lunga lo sport più
popolare.
Alcuni addirittura lo praticano,
dividendosi tra chi lo fa per puro diletto e chi ne fa una professione
agonistica.
Si accede a questo universo da
bambini e difficilmente ci si distacca.
L’idea vincente che lo rende
facilmente attraente è che per provarlo basti uno spazio, un pallone, due cose
qualsiasi a delimitare una immaginaria porta da difendere o da violare (secondo
se attacchi o difendi). Il calcio è una metafora della vita.
Forse è adoperabile come
metafora della società italiana e della sua politica. Del nostro vivere la
politica italiana e nella società italiana.
L’accesso al mondo del gioco del
pallone, l’alfabetizzazione allo stesso, l’attività del praticarlo sono molto
anticipati rispetto alla politica.
Di calcio se ne sente parlare
prima e si sente parlare di desto o sinistro ben prima di indagare le categorie
di Destra e Sinistra; i concetti di attaccante e difensore vengono assorbiti
prima di quelli di progressista e reazionario. Soprattutto, evidentemente,
l’ingresso nel calcio tifato e giocato è antecedente all’essere elettore o
eleggibile.
Chi diventa un giocatore
professionista lo diventa per qualità atletiche personali ma anche per averle
coltivate con passione e dedizione fin da piccolo: campetti, strade, scuole di
calcio, oratori, squadre minori giovanili.
Passione e dedizione per le
quali sovente i ragazzi che arrivano ad esordire prima della maggiore età nel
professionismo hanno trascurato lo studio scolastico per prepararsi adeguatamente
e al meglio al calcio.
Certamente ci vuole fisico e
fortuna ma è fuor di dubbio che se non sei capace non ci arrivi a diventare un
professionista e, tanto meno, arrivi in serie A. L’affermazione avviene
attraverso una selezione spietata e un continuo esser giudicati e valutati in
base al rendimento.
Comunque – chi più chi meno –
tutti hanno dei “fondamenti del gioco” e ben presto la consapevolezza se
potranno o meno avere un futuro da lavoratore nel campo (e sul campo).
Le regole del gioco poi, per
quanto possano essere complesse, sono note e accettate universalmente. Se si
discute (lo si fa moltissimo) è su una decisione arbitrale; non sulle regole
del gioco.
Prendiamo una qualsiasi classe
di età di tifosi e di appassionati di calcio maggiorenni e assimiliamoli agli
elettori e agli appassionati di politica dello stesso anno.
Mio figlio è nato nel 1994 e perciò
ha 25 anni. Sui giornali quotidiani dell’epoca, in quei giorni, si parlava del
primo governo Berlusconi (così: per dire). Quindi – tanto è un esempio –
prendiamo i venticinquenni. Votano da sette anni ma sono spesso scarsamente
alfabetizzati sulle regole di funzionamento, leggi e norme, della “cosa
pubblica” per la quale votano e pensano che non abbia rilevanza nella loro
esistenza.
Accade molto spesso: non
minimizzate il problema e non sottovalutatelo.
Dipende dal livello di studi,
dalla famiglia di appartenenza, dall’ambiente sociale dove si è cresciuti e si
vive. Se sei nato da genitori borghesi e laureati e ti sei laureato, e vivi in
un bel quartiere è diverso dall’essere nato in periferia, o in un piccolo
paese, da genitori poco abbienti e poco istruiti. Se vedi mostre d’arte e
concerti o passi le sere al baretto è diverso. Se usi il congiuntivo o meno è
diverso. Elabori in modo differente quello che ti capita e capita intorno a te.
Se in casa si leggono libri e
giornali, se si guarda la televisione e cosa si guarda in televisione. Dipende
da cosa si cerca nel web, da come lo si adopera. Ci sarebbero un sacco di
considerazioni da fare, spero ne conveniate, ma non è questo il punto.
Torniamo al parallelismo
proposto e, quindi, in politica ci possono essere tifosi (senza sapere come
funziona la cosa pubblica) o, altrimenti, non votanti. Privi delle basi. Non
per colpa loro ma perché non le hanno osservate, non gliele hanno insegnate,
non hanno avuto la necessità o l’interesse di conoscerle. Però votano o,
comunque, possono votare.
A venticinque anni non solo
possono votare: possono anche essere eletti. Come dire che oltre a tifare
possono scendere in campo. Possono scendere in campo non conoscendo il gioco ma
venendo eletti da altri che magari sono solo elettori-tifosi ma non conoscono
il gioco.
Un giovanotto qualunque nella
politica può finire in serie A senza aver mai giocato.
A quel punto ha titolo per
giocare e pulpito dal quale parlare, ma è lecito pensare che la qualità del
gioco peggiori, che le squadre politiche italiane siano niente rispetto a
quelle degli altri Paesi fino a scomparire da qualsiasi competizione
internazionale. Che altri si disamorino della politica o che tifino sempre meno
motivatamente, che parlino a vanvera, che il livello dei discorsi (sul calcio)
precipiti in risse dove uno vale uno.
Potrete anche pensare che stia
uscendo dalla metafora e percorra iperboli impazzite: lo ho messo in conto.
Ma considerare tutta la
categoria dei giovani come una risorsa preziosa da ascoltare e da valorizzare
come nuova classe politica e dirigente del Paese sarebbe come affermare che
tutti i giocatori di calcio con almeno quindici anni di esperienza siano da
mantenere nel calcio giocato. In un caso gioventù e vigoria sono sopravvalutati
rispetto alle capacità; nell’altro lo sono l’esperienza e la professionalità
rispetto alla vigoria. Non vi è dubbio. Salvo eccezioni.
Aggiungo che questo mio modesto
contributo è tardivo. Non può reggere più il giovanilismo se un Ministro ha due
terzi dei miei anni ed io ancora sono un lavoratore attivo.
Non sono i babyboomers come me
che hanno preso il Potere e i posti ma persone di ogni età, ogni estrazione,
ogni censo.
Uno vale uno.
Io, per quel che vale, non ho
tolto “aria e ossigeno” a nessuno: pertanto se suonate al mio citofono per
lamentarvi avete sbagliato interno.
Avete sbagliato parecchio.
Ci tengo particolarmente a
ribadirlo.
Ma tutto scorre come se nulla
fosse. Siete sicuri che sia normale?
Magari, se volete, proseguo con
i diversi ruoli del gioco del pallone. Oppure mi taccio.
Continua. La metafora è interessante.
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