Da cittadino di Roma, privo di
competenza specifiche nel settore del riciclo e della valorizzazione dei
rifiuti, ho cominciato ad interessarmene per legittima difesa.
Difesa da una questione
palesemente irrisolta, quella dei rifiuti nella Capitale del Paese, che ha
radici ben affondate nel secolo scorso.
Ricordo bene i miasmi della gigantesca
discarica privata di Malagrotta e le lotte dei Comitati di quartiere sulla
Aurelia. All’epoca tutto finiva in discarica, tranne i rifiuti ospedalieri che
bruciavano, e tutt’oggi bruciano all’interno di questi grandi complessi o che, comunque, hanno una loro strada.
Ho ben presente le procedure
di infrazione aperte sul tema nei nostri confronti e mi è chiaro che trasferire
immondizia a centinaia di chilometri dal luogo di produzione sia sbagliato e
antieconomico.
Ho ascoltato e mi sono
informato il più possibile, con mente aperta e anima in pena.
L’idea di base dell’economia
circolare è veramente affascinante. Il rifiuto, ben separato per tipologia e
correttamente raccolto, smette di esser cosa da seppellire o da bruciare per
diventare materia prima per nuove produzioni.
È fantastico.
Una Città Metropolitana di 4,4
milioni di abitanti dovrebbe essere un vero colosso nella produzione di materie
prime del genere.
Ma il mercato di qualsiasi
materiale è soggetto alle leggi della domanda e dell’offerta e alla qualità del
materiale che vendi.
Fermo restando il fatto che,
informandomi, ho scoperto che l’ingegno umano e la ricerca tecnologica hanno
portato alla nascita di impianti che possono riusare l’inverosimile, dagli
assorbenti ai mozziconi di sigaretta, faccio un caso di studio volutamente banale.
Una ditta fabbrica capi di abbigliamento
fatti con la plastica delle bottiglie; ha bisogno di bottiglie di plastica ma
pulite e senza tappo ed è al Nord; serve che gli si porti, o che venga a
ritirare, questo materiale nelle condizioni alle quali può usarlo e quindi
serve che la città differenzi i tappi e l’etichetta dalla bottiglia.
È roba da costruire e potrebbe
valere la pena farlo (lasciamo stare per un momento che la plastica è di
diverse qualità e che comunque è il male assoluto).
Ma se per una contrazione
della domanda di giubbotti di plastica questa impresa non riesce a vendere la
sua enorme produzione di capi in plastica deve ridurre l’acquisto della materia
prima e la dannata plastica resta accumulata da qualche parte, a Roma, sperando
che ripartano i consumi di giacche a vento di plastica. Finisce per non
funzionare più.
Lo stesso si potrebbe dire per
la carta con la quale si producono libri e quaderni, block-notes e altri
oggetti. La crisi del mercato dell’editoria porta fatalmente ad uno stock di
rifiuti cartacei invenduto.
Nel frattempo resta una
imponente produzione di rifiuti e anche se diamo per raggiungibile una
differenziata perfetta e una raccolta ottimale non ne saremmo usciti.
Questi esempi ed altri che non
porto per rimanere breve, conducono alla considerazione che parte dei rifiuti
non possano che finire in termovalorizzatori e, in casi diversi, in
inceneritori.
Di questi impianti, come di
altri, c’è fortissima carenza nella Regione e nella Città Metropolitana di
Roma, complice il timore delle popolazioni di impianti mal fatti e mal gestiti
e della sindrome nimby.(not in my backyard).
Dalla individuazione di un
sito al momento in cui l’impianto è in esercizio passano più di cinque anni.
Nel frattempo è necessario
avere siti temporanei di stoccaggio.
Il tutto in un piano
industriale manageriale dell’AMA SpA, interamente detenuta dal Comune di Roma,
di concerto con Regione e Stato centrale.
Il tutto ristrutturando la
raccolta (che a mio avviso non può essere diversa da un quartiere ad un altro),
potenziando mezzi e maestranze, informando in modo capillare la cittadinanza e
perseguendo con grande severità ogni contravvenzione alle regole.
Che a pagare tutto ciò siano
esclusivamente gli abitanti attuali del Comune di Roma, soggetti già ad alte
addizionali IRPEF comunale e regionale e ad alta TARI, visto il rango e l’onere
di Capitale del Paese, sarebbe profondamente ingiusto: come ho detto in più
occasioni Roma deve essere patrimonio di tutti i cittadini italiani e dell’umanità.
Convinto di quanto ho scritto
sono pronto a metterlo in discussione argomentando e ascoltando gli argomenti
altrui. Serve che ciascuno si informi, consapevolmente, e si formi una opinione
credibile e praticabile. Se siete profondamente contrari, o contrariati, vogliate benevolmente considerarlo un sasso nello stagno.
Le cose sono come sono.
Però possono
e devono migliorare.
Condivido parola per parola ma dallaltra parte ci sono posizioni preconcette.
RispondiEliminaGrazie. Considera che da quando ho pubblicato questo post ho continuato a studiare la cosa. Non ho dubbi sulla economia circolare, sia chiaro, ma quando scopri che un termovalorizzatore riesce a produrre energia per un consistente numero di abitazioni non puoi non tenerne conto se non in modo positivo. Il necessario - indispensabile - impegno di contrasto al cambiamento climatico non può pesare (e tanto) su chi non può permetterselo. Giustizia ambientale e giustizia sociale devono procedere insieme.
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