le cose ci sono, sono lì a rispondere ai nostri sguardi più o meno sicuri, alle domande che non facciamo e nemmeno sappiamo, a salvarci e a condannarci: sempre e pur tuttavia solo cose. Sarebbero chiare se noi non fossimo così confusi. Non sono le cose a comandare ma l'atteggiamento che abbiamo noi di fronte ad esse. Come ci poniamo, come scegliamo se parlare o meno e cosa dire e cosa tenere per noi e non condividere. Cosa lasciare andare.
marco valenti scrive
23 aprile 2010
buca
Per tutti quelli che, come me, percorrono le vie della capitale in sella ad uno scooter, come ad un ciclomotore, le geografia di buche, dossi, fratture dell’asfalto, tombini infossati e altre delizie è mappa preziosa.
I nostri reni, la nostra schiena, il suo fondo (schiena) sorretti a malapena da ammortizzatori stanchi, da forcelle troppo usate necessitano delle piccole manovre della nostra mente allenata.
Conosciamo le insidie del selciato romano, i famosi “sanpietrini”: siamo in grado di fare eleganti slalom tra gli infossatissimi tombini del Lungotevere e abbiamo rinunciato a trovare spiegazioni al perché mai non siano (almeno grossomodo) equidistanti dal bordo della carreggiata.
La nostra mappa è un chip del cervello. Il percorso, quando abituale, è da pilota automatico.
Divido le buche in categorie e gruppi omogenei. Le inevitabili sono quelle che attraversano l’intera carreggiata. Spesso sono grate per lo scolo delle acque piovane. Poi ci sono, come accennavo, i tombini e i coperchi che portano alla miriade di condutture cittadine sotterranee: acqua, gas, elettricità, linee telefoniche. Seguono geografie oscure che al motociclista appaiono bizzarre, irrazionali, insensate ma in comune hanno che, asfaltatura dopo asfaltatura, rattoppo dopo rattoppo, inevitabilmente si infossano.
Sprofondano.
Potrei continuare a lungo e chi va su due ruote lo sa bene.
Una categoria a se stante è quella delle buche inspiegabili. Sono quelle piccole e profonde: facili da evitare ma feroci se ti catturano. Implacabili giustizieri degli pneumatici e generatrici di imprecazioni indicibili che variano in funzione dell’umore di chi ci capita e del suo tasso di religiosità.
Nessuno sa come possano essere nate. Sembra quasi che un picconatore robusto e in preda a deliri alcolici si diverta a minare il percorso stradale.
Tant’è sono lì. Per fortuna sono, sebbene di profondità inquietante, di area ridotta: agli occhi necessariamente esperti di noi che camminiamo da anni su due ruote diventano quasi familiari pietre miliari dei nostri percorsi cittadini.
Tra queste una delle dimensioni di un piatto, piccola e feroce, sul Viale Trastevere quasi all’angolo con Viale Aurelio Saffi, di fronte ad una (provvidenziale?) farmacia. A circa un metro dal bordo del marciapiede ci si passava agevolmente a destra quanto a sinistra; il rischio maggiore, in caso di amnesia, rimaneva quello di vedersela sbucare (termine appropriato) al di sotto di una vettura seguita da presso e non riuscire in una manovra di scarto all’ultimo momento.
Ieri ho percorso Viale Trastevere e mi sono accorto che lei non c’è più: richiusa da un rattoppo di asfalto (tra l’altro anche di buona fattura).
Mi è sparita una pietra miliare del Viale, una misurazione del ritorno a casa.
Quasi mi manca.
Purtroppo avrò parecchie altre voragini a cui fare riferimento ma, ovviamente, non ci trovo nulla di consolatorio.
MV
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
lassiam perdere, per me che vivo e lavoro in centro è un incubo
RispondiEliminasono come i segni del tempo sul viso, le rughe. Ognuna di loro porta con se il bagaglio personale e una storia . A livello pratico sono un problema serio specialmente nella vostra bella città
RispondiEliminaJuliet
Molto bello quello che scrivi: ti ringrazio Juliet. Purtroppo troppe rughe sono segno di poca cura. Far funzionare una città immensa non è facile ma, per quanto complesso e articolato, lo considero un dovere. Per chi ci vive (tre milioni) e per chi ci viene (trenta milioni di presenze all'anno)
Elimina