Guardo l'aperta campagna dal finestrino di un treno e mi trovo costretto ad ammettere una ignoranza pressoché totale sulle colture che si susseguono in una epifania di campi, serre, frutteti.
Me ne rammarico e me ne vergogno un po'.
A volte ci stupiamo e sorridiamo della ignoranza altrui ma ora mi trovo irrimediabilmente cittadino a constatare di non sapere e di non avere idea di come colmare questo pauroso distacco dai tempi e dai ritmi della terra.
Emmevù
le cose ci sono, sono lì a rispondere ai nostri sguardi più o meno sicuri, alle domande che non facciamo e nemmeno sappiamo, a salvarci e a condannarci: sempre e pur tuttavia solo cose. Sarebbero chiare se noi non fossimo così confusi. Non sono le cose a comandare ma l'atteggiamento che abbiamo noi di fronte ad esse. Come ci poniamo, come scegliamo se parlare o meno e cosa dire e cosa tenere per noi e non condividere. Cosa lasciare andare.
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