marco valenti scrive

marco valenti scrive

11 luglio 2015

UNITI NELLA DIVERSITA'





Si è parlato parecchio del debito della Grecia; si è parlato dei problemi legati ai drammatici flussi migratori che stanno inondando le nostre coste; si è parlato di misure economiche e di come hanno ristretto le nostre capacità personali di spesa.

Argomenti apparentemente molto diversi e sui quali le opinioni, 
con opinionisti professionali più o meno titolati e legittimati, 
si sono divise con grande asprezza di toni. 

Ognuno potrà avere il proprio legittimo pensiero (purché pensi): 
quel  che penso io ha rappresentazioni frammentate in spezzoni di dichiarazioni di vari e molto differenti esponenti politici.

Vorrei provare a volare alto.

Vorrei prendere tutto questo da un altro punto di vista e condividere quel che penso.

Sapete tutti qual è il motto della Unione Europea: “uniti nella diversità”, usato dal 2000.
In varietate concordia, latino. 
Suona bene. 


Sul sito ufficiale della Unione Europea, 
casa nostra, 
trovate la spiegazione che riporto. 
Il motto sta ad indicare come, attraverso l'UE, gli europei siano riusciti ad operare insieme a favore della pace e della prosperità, mantenendo al tempo stesso la ricchezza delle diverse culture, tradizioni e lingue del continente”.

Pace, prosperità, ricchezza delle diverse culture.
Però le scelte economiche, politiche (politica interna, estera, fiscale, retributiva), etiche e sociali, sono state fatte a livello di singolo Stato, incluso se aderire o meno alla moneta unica.

Ma questo è stato vero con situazioni che sono andate spesso in negoziato tra Stati europei oppure con altre situazioni che sono diventate un vincolo per alcuni.
Il “magnifico isolazionismo” della Gran Bretagna e la sua propria politica estera filoamericana; “le quote latte”.

Andando avanti con gli anni normative comunitarie sempre più stringenti, procedure di infrazioni per chi non le rispettava; proseguendo un salto in avanti non da poco con i vincoli di bilancio, le macrocondizionalità economiche, le raccomandazioni a ciascuno Stato membro: un peso gravoso sui negoziati per la Politica di Coesione europea e sui programmi da portare avanti nel periodo 2014-2020 con i Fondi europei.

Indicazioni stringenti che in qualche caso sono sembrati veri e propri “compiti a casa” e che hanno condotto, nel nostro Paese, a scelte non propriamente popolari e non largamente condivise come l’aumento dell’età pensionabile, il blocco degli stipendi pubblici, il pareggio di bilancio imposto a tutti i livelli, il blocco del turn over, la diminuzione delle risorse trasferite dallo Stato agli enti locali, la soppressione delle Provincie.

Diverso profondamente tra i Paesi dell’Unione il gravame fiscale, legislativo, autorizzativo: differenti le retribuzioni e le pensioni.

Potrei proseguire.

In Italia e in altri Paesi è aumentato prepotentemente un senso contrario alla unità europea per lasciare esplodere spinte di avversione, di antieuropeismo, che si stanno spingendo fino a folli idee di ritorno alle vecchie monete.
Al riguardo è incredibile come teorie opposte sul ritorno alla lira trovino la stessa risonanza: l’Italia uscirebbe a pezzi dal ritorno alla lira con immediata perdita del potere di acquisto, debito in salita vertiginosa e inflazione al gran galoppo.


Siamo così “uniti nelle diversità”, poi, che quando sentiamo parlare di immigrati ci scanniamo tra Regioni, facciamo scaramucce alle dogana, alziamo qualche nuovo muro tra Stati.

Se poi la Grecia è allo stremo siamo così “uniti nella diversità” che è ben diffuso il nobile sentimento del “cavoli loro: noi abbiamo fatto i nostri sacrifici che si arrangino”.

Diversi sicuramente: uniti un po’ meno.

Io propongo di ribaltare le cose: 
“Una Europa di uguali che rispetti le diverse storie e tradizioni di ciascun popolo”.

Diamoci un tempo ragionevolmente non decennale e riscriviamo i Trattati.

Si decida a quale età è giusto andare in pensione, quale sia una retribuzione minima dignitosa per ogni tipologia di lavoro, quante ore si debba lavorare, e sia così in Danimarca e in Portogallo e ovunque viene condiviso l’Euro, e chi non vuole regole comuni stia fuori dall’Euro e dall’Europa (e se lo ritiene prosegua tranquillamente a guidare contromano).

Si decidano le prestazioni essenziali per la salute e il benessere dei cittadini, il livello di cura delle patologie e di presa in carico delle fragilità e sia uguale a Stoccolma e a Catania, a Sofia e a Valencia.

Si stabilisca quanto è giusto tassare il lavoro e quanto la rendita e ci si attenga a quanto stabilito in tutta Europa.

All’Europa si lasci il compito delle relazioni internazionali, della difesa della pace e della sicurezza dei propri cittadini.

Sistemi elettorali, politiche monetarie e fiscali uguali.

Potrei andare avanti a lungo: non credete?

Ciascuno farà il formaggio come meglio crede, nella sua lingua o nel suo dialetto madre, ma tutti avranno gli stessi diritti e le stesse responsabilità e doveri.

Perché voglio difendere il mio modo di bere e di mangiare, le mie tradizioni e le mie radici ma perché voglio anche avere la stessa tassazione, lo stesso welfare, le stesse retribuzioni di qualsiasi mio compaesano europeo.

Penso che siamo di fronte a scelte importanti.


Allora invece di dividerci, bisticciare e finire poveri e soli, isolati e annientati dal mondo oltre le recinzioni del giardinetto di ognuno, io sogno di unirci veramente, cittadini in pace di un unico, formidabile, paese: l’Europa.


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