marco valenti scrive

marco valenti scrive

30 settembre 2014

Chi dice che scrivere è sofferenza



Per quel che può valere il mio parere, io non credo che scrivere sia sofferenza.
La sofferenza è un'altra cosa ed è molto più seria.
Scrivere può essere faticoso, anche molto. Sì.
Fatica, impegno, difficoltà, responsabilità. 

(La responsabilità del resto è propria della parola, scritta come pronunciata: qualcuno se lo dimentica ma le parole pesano. 
Quel che pesa va pesato)
.
Scrivere può essere, a volte, doloroso ma non è un dolore che si possa paragonare ad una vera sofferenza. 
Si tratta piuttosto di intensità, di rimanere concentrati sulla parola e anche sul processo che riesce a rendere universale o comunque interessante un fattarello qualsiasi - particolare - vero o inventato, personale o sentito dire o surreale.
A volte si può anche partire da questioni che ci hanno toccato personalmente provocando dei dolori.
Sono le cose che ci hanno provocato dolore. Sono i fatti che ci capitano che possono provocare dolore: la scrittura non c'entra. 
Il dolore non può essere scriverne.

Scrivere non è dolore.
Scrivere è gioia e privilegio.

Chi dice che scrivere è sofferenza soffrirebbe comunque.
Marco Valenti



29 settembre 2014

Saccente





"Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che sanno" (Oscar Wilde)

Incontro troppi sedicenti esperti che parlano tanto di cose che non sanno: capita soltanto a me? Quando qualcuno - ovunque sia - ci dice qualcosa chiediamoci sempre se la sua sia una opinione personale basata su qualcosa che effettivamente conosce della materia della quale parla. Non sarà tempo sprecato se ci salverà dalla creduloneria o dagli slogan; sarà utile anche nel caso contrario quando a parlare è stato un sapiente e non un saccente.
A volte poi il saccente si erge ad arbitro o a giudice, vestale della verità, depositario del verbo unico, proprietario del sapere.
Un po' come guidare senza patente.
Francamente lo trovo disperante, straziante, difficilmente tollerabile e trovo che troppa gente dia credito per troppo poco.
Davvero troppo poco.

Dal Dizionario dei sinonimi e contrari
Saccente:

  • sapientone, 
  • saputello,
  •  presuntuoso, 
  • arrogante, 
  • strafottente, 
  • pedante, 
  • cattedratico


23 settembre 2014

Il fiume


THE RIVER

Ormai un bel po’ di anni fa, millennio scorso, uscivo con un gruppo di amici e si suonava e poi si beveva e si tirava tardi parlando di tutto e di più. All’epoca stavo scrivendo un romanzo a tinte noir dove avevo un tipo che metteva un CD e un brano con il tasto “repeat” per suonarlo all’infinito. Prendeva una dose di barbiturici adeguata per suicidarsi. Moriva. 
Il libro si apriva così. 
Chiedevo agli amici quale brano avrebbero scelto per suicidarsi. Chiedevo un brano che fosse struggente, bellissimo, triste e definitivo, piacevole ma ultimo. Ne venne fuori una lunga chiacchierata per niente lugubre: intensa e – credetemi – a tratti divertente e sempre arguta. Il libro è rimasto, in compagnia di altri, nel cassetto ma il brano scelto era “The river” di Bruce Springsteen. 

Immenso inno dolente e disperato contro una società che non lascia che l’individuo riesca. Lo reputo perfetto. 

Non so se il libro uscirà dal cassetto ma il 23 settembre del 2014 il Boss ha compiuto 65 anni e mi è venuta in mente questa cosa. 

Così molto semplicemente ve la volevo dire. Quale brano usereste voi? (In una finzione libraria: ovviamente)






Vengo dal fondo della valle dove, signore, quando sei giovane ti fanno crescere per farti fare il lavoro che faceva tuo padre. 
Io e Mary ci incontrammo al liceo quando lei aveva solo diciassette anni. Ci allontanammo in macchina da questa valle verso posti dove i campi sono verdi Andammo giù al fiume e nel fiume ci tuffammo. Oh! corremmo giù al fiume. Poi misi incinta Mary e, amico, questo fu tutto quello che mi scrisse e per il mio diciannovesimo compleanno ricevetti un libretto di lavoro e un abito da matrimonio. 
Andammo fino al municipio e il giudice mise tutto in regola. Nessun sorriso il giorno delle nozze, nessun corteo nuziale, nessun fiore, nessun abito da sposa. 
Quella notte andammo giù al fiume e nel fiume ci tuffammo. Oh corremmo giù al fiume.
 Trovai un lavoro di manovale per la Johnstown Company ma in seguito non c'era più molto lavoro per via della crisi economica. Ora tutte quelle cose che sembravano così importanti, beh, signore, sono svanite nell'aria. 
Ora io mi comporto come se non lo ricordassi e Mary come se non gliene importasse ma ricordo che giravamo nell'auto di mio padre. Il suo corpo bagnato e abbronzato giù al bacino. 
Di notte giacevo sveglio su quelle sponde e la stringevo forte a me, solo per sentire ogni suo respiro. 
Ora questi ricordi ritornano e mi tormentano. 
Mi tormentano come una maledizione. 
È un sogno, una bugia, se non diviene realtà o qualcosa peggio ancora, che mi manda giù al fiume anche se so che il fiume è secco. Giù al fiume, io e il mio tesoro. Oh corremmo giù al fiume.

22 settembre 2014

Marco Valenti scrive (Facebook)




Dato che scrivo ormai da un po’ di anni e visto che Facebook è una piattaforma social di un certo rilievo da un po’ di tempo esiste una Pagina Facebook che è la pagina ufficiale mia su quello che scrivo e che leggo.

Questo è il link: 

Ora se siete iscritti su Facebook vi invito a visitarla e a seguirla.


Grazie
marco valenti


Photo: Bibioteca Storica MEF

(piccolo spazio pubblicità mode off)

19 settembre 2014

Sfumature Sintesi Semplificare

Nero, bianco, sfumature.
Semplificare e sintetizzare è di moda. Ritengo che sia straordinariamente utile purché non sia sostitutivo della conoscenza degli aspetti della questione di cui si tratta.
Se costretto a scegliere tra bianco e nero io scelgo. La mia scelta non prescinde dal provare a capire cinquanta sfumature di grigio tra il bianco e il nero. La conoscenza implica impegno e dedizione; la semplificazione è più facile.
La semplificazione esclude il “sì ma…” o il “purché”. La semplificazione allora diventa guerra semplice tra Guelfi e Ghibellini. Radicalizza e aiuta. Non rende un buon servizio alla verità che non è mai – mai – semplice.
Tra cancellare e lasciare tutto come è ora, per esempio, c’è

15 settembre 2014

Asfalto urbano



La strada.
Anno dopo anno il manto di asfalto era diventato deplorevolmente inesistente. Chi, come me, gira su due ruote esercitava la memoria nel ricordare le disposizione delle buche, gli sconnessi, i pochi tratti sui quali esercitare una parvenza di guida sicura. Anno dopo anno, stagione dopo stagione quella strada della capitale del Paese somigliava sempre di più ad un percorso da motocross o a una periferia abbandonata nella noncuranza degli amministratori circa il fatto che fosse un tratto di grossa percorrenza.
Questa estate il miracolo: un nuovo manto stradale. Perfetto come un tavolo da biliardo, inclusi i tombini per lo scolo delle acque. Grande la mia felicità di motociclista a di cittadino. Finalmente! Chi soffre come me, da anni, i disagi di muoversi in scooter mi capisce. Avremmo da elencarne di disagi: tra questi le buche mannare e imprevedibili.
La strada è liscia da poco più di un mese. Un lavoro eccellente.
Da pochi giorni un bandone di plastica bicolore, rosso e bianco, fa ghirlanda appeso tra un segnale stradale e un albero e un altro segnale stradale e un palo della luce lungo tutta la strada. Su di esso foglietti appesi preannunciano un imminente, temporaneo, divieto di sosta e di fermata. Motivazione del divieto annunciata sui cartoncini appesi al nastro di plastica bicolore: necessari lavori di adeguamento del sistema fognario.
Quindi verranno, romperanno l’asfalto appena steso, scaveranno, adegueranno le fogne, riempiranno la trincea. 
Poi?
Inevitabilmente si limiteranno a rattoppare, alla bell’è meglio, il manto stradale con una porzione di asfalto a coprire solo lo scavo effettuato.

Il bilancio della Capitale del Paese è in pesante deficit; il bilancio del mio Paese è in deficit; nel mio Paese si taglia (la chiamano "spending review") e non ci sono abbastanza soldi. 
Però subito dopo aver fatto un manto stradale alla perfezione lo aprono per ammodernare un tratto fognario. 
Dopo.

Da lì ricominceremo con i primi strazi, le prime inevitabili sconnessioni, i primi sobbalzi degli pneumatici. 
Fatalmente entro un anno si formeranno le prime crepe e le prime buche e sarà un crescendo fino a vanificare totalmente quel che di buono è stato fatto – da pochissime settimane – per rendere onestamente percorribile e sicura la strada.

Incupito e nervoso, rassegnato ma non quieto, scrivo questa piccolissima nota chiudendola senza alcuna facile considerazione e senza imprecazioni (che tengo per me e lascio alla vostra immaginazione) ma con una unica domanda.


Perché?



(The road goes ever on - from "The Lord of the rings)

8 settembre 2014

Taccuino di treno Roma Pesaro - promemoria



In treno da Roma a Pesaro un giorno di Agosto.

Da quando ho aperto questo blog nel 2008 uno degli argomenti che tratto sono i viaggi. La tag è “viaggi (taccuini con un senso)" e alterna piccole memorie di belle cose a sensazioni e appunti brevissimi di viaggio, ma anche timori, inadeguatezze, piccole manie e paure che provo quale “imperfetto viaggiatore”.

Quel che mi è capitato sull’intercity Roma (17,40) – Pesaro (20,51) prova ulteriormente la mia imperfezione.
Avevo prenotato il posto 10A, lato finestrino, e questo – sappiatelo – se viaggi da solo è già un errore. 
I posti 10 fronteggiano i posti 9, divisi da un tavolino: buoni se hai deciso di fare un viaggio in tre o in quattro e chi si siede al 9A di fronte e al 10B al tuo lato lo conoscevi da prima di salire ma pessimi se sei estraneo agli altri tre che invece si conoscono, salgono come te alla Stazione di Roma Termini e chiacchiereranno in marchigiano fino a Jesi (20,07).
Al mio fianco (10B), a sbarrarmi il corridoio, un giovane maschio che potremmo supporre sui venti anni; di fronte a lui una donna (9B) che potremmo supporre sua madre; di fronte a me (9A) una donna intermedia che potrebbe essere una sorella più grande del 9A o, per dire, una zia. 

Ho con me un paio di libri che vi consiglio e il mio telefono: non ho computer o riproduttori di musica o cuffie o tappi per le orecchie. Non riuscirò a leggere e guardare le cose fuggirmi via dal lato pessimista di marcia non lenirà il mio nervoso in salita costante e continua. 
Il ragazzo parla, parla ad alta voce, dice cose da minorato mentale, parla anche da solo svegliando i suoi congiunti se si addormentano (o fingono di farlo per legittima difesa). 
Il ragazzo parla e usa un frasario che prevede un intercalare di bestemmie e improperi, offese a personaggi pubblici, categorie sociali varie nonché persone che conosce lui e io no. A sentire i suoi giudizi mano male che non le conosco.
Il ragazzo con il suo smarphone cerca - tra le altre cose -  treni notturni per la riviera romagnola, per andare e tornare. La madre anche ha uno smartphone e fa la stessa ricerca. Confrontano a voce alta i risultati insufficienti che ottengono e si avvisano ripetendo almeno un paio di volte ogni volte che non c’è linea e ogni volta che la linea torna. 

Anche se potreste essere indifferenti al fatto, vi posso assicurare che so per certo che non ci sono treni che di notte partono dalla riviera romagnola e vi possono riportare nelle Marche. Fatevene una ragione e andate in automobile o pernottate da qualche parte dopo la discoteca o il concerto o il caspita di cavolo che vi ha attirato in riviera. 

Terni. La zia dorme definitivamente; la madre ogni tanto si sveglia per provare a far stare zitto il mio vicino; lui passa all’ascolto della musica. 
Ma non ha auricolari. 
Non ha auricolari ed è convinto, a torto, di essere intonato. 
Non ha auricolari, il suo smartphone ha un volume della Madonna, canticchia e commenta e la sua selezione è un remix di successi popolari anni ’80 in versione disco. 
Il meglio che ne viene fuori sono gli 883: vi risparmio, lasciandolo alla vostra immaginazione, l'elenco dei remix.

Una ragazza passa in corridoio e gli chiede “scusi: può usare le cuffie per cortesia?” lui risponde “Non ce le ho” lei chiude “Allora abbassi il volume”. 
Guardo la ragazza andare verso la toilette carico d’amore e di gratitudine.

Pausa (di questo breve resoconto – non del nostro) per dirvi dei due libri.
Il primo è un breve saggio di Mario Perniola, “Contro la comunicazione”, Einaudi. 
È diviso in due parti: nella prima prova a spiegare come la comunicazione ormai prescinda dall’essenza dell’oggetto comunicato e possa essere manipolata (e manipolare) mentre nella seconda teorizza un ruolo salvifico dell’estetica rispetto alla lacrimevole situazione che si è venuta a creare. Eccellente, condivisibile e probabilmente importante la prima parte: più discutibile ma comunque interessante la seconda.
Il secondo libro è un romanzo di Chiara Arrighetti, “Un’oncia di rosso cinabro”, editore CartaCanta. Dal sito dell’autrice, bravissima, riporto “A nno Domini 1499. Un omicida si aggira per la bottega dei Francesco e Bernardino Zaganelli, pittori di prestigio imparentati con gli Sforza e divisi da un odio profondo.

Ritratto di un Rinascimento dai mille volti, luminoso e insieme inquietante, Un’oncia di rosso cinabro conduce il lettore nell’universo caleidoscopico della pittura e dell’alchimia.”.


Fine dell’intervallo e dei consigli per gli acquisti.

Torniamo al nostro Signor9A. 
Alle esortazioni della benefattrice andante in bagno, sottolineate con sommessa cortesia dalla mamma, abbassava la suoneria ma, in compenso, sciorinava un compendio di conoscenze delle abitudini sessuali della giovane che aveva civilmente protestato da far invidia ad un sessuologo, ad un ginecologo, ad uno psichiatra e ad un playboy di tempi fortunatamente andati: in pratica la diagnosi del nostro metteva in connessione una repressa attività sessuale della malcapitata (certamente vivace e frenetica fuori dal contesto delle ferrovie) con l’indisposizione che ella aveva manifestato verso la buona musica e le libertà individuali (a riprodurla a volume alto in luogo frequentato e a “cantarla” e commentarla dando seguito naturale ai propri desideri). 
Ometto per civiltà i dettagli estremamente coloriti.
Nell’acme della disquisizione bestemmiatorio sessuale del nostro eroe profferisco le prime parole del mio povero viaggio mentre gli tocco la spalla.
“Mi scusi, dovrei passare”.
Si alza. Lo vedo in viso. Focalizzo il naso da me mentalmente più volte irrimediabilmente fratturato con il gomito sinistro, abbozzo un sorriso, ringrazio e mi avvio alla carrozza bar. 

Sono le 19,00 ed io sono un eroe del bonton, della educazione impartitami, della tolleranza, della resistenza. Non ho il gomito sinistro macchiato del sangue del vicino. Barcollo fino ad un posto libero, lato ottimista del treno, e mi siedo di fronte ad una giovane ragazza, graziosa e munita di cuffie semiprofessionali. Con lei riesco a scambiare solo un paio di battute sull’apertura della tendina per vedere tramonto e panorama. Conviene con me che valga la pena alzare e guardare fuori. Da lì ci divide tutto. Le sue cuffie, il suo smartphone, il suo riuscire a truccarsi perfettamente malgrado i sobbalzi della tratta ed io che nel frattempo ho scritto poche righe di dedica su un mio libro che avrei portato ad una cara amica l’ammiro: la mia scrittura incerta e tremula contro il suo trucco perfetto. Sorrido comunque come uno che si sveglia e si rende conto che, in fondo, è stato solo un incubo. Alle 20,07 Jesi e la discesa del barbaro. Più in là Falconara Marittima, un cambio di motrice e una sigaretta.



Ci si potrebbe chiedere perché mi appunti tutto questo e lo condivida.
A parte i libri, davvero belli, per alcune semplici cose da ricordare per sempre.

Uno: mai prenotare un posto con il salottino se viaggi da solo.
Due: mai più senza musica, o computer, o cuffiette, o tappi per le orecchie.
Tre: improponibile immaginare una società evoluta (credetemi: è troppo tardi).


6 settembre 2014

7/9 Duchenne Awareness Day



7 settembre 2014.

Prima Giornata Mondiale di sensibilizzazione sulla Distrofia Muscolare Duchenne, una delle più diffuse patologie genetiche degenerative che colpisce in media 1 su 3500 bambini nati, pochissimi sono i casi di bambine, e si stima che siano circa 250.000 i casi in tutto il mondo.
La causa della patologia è la totale assenza di una proteina normalmente presente nei muscoli e denominata distrofina.  
Le informazioni necessarie a produrre questa proteina sono depositate nelle 79 unità, tecnicamente esoni, che costituiscono il gene della distrofina ed è proprio questo numero che ha ispirato la scelta del 7 settembre (7/9) per questa prima giornata mondiale di sensibilizzazione sulla distrofia muscolare di Duchenne.

Niente vip che si tirano secchiate d’acqua fredda. Per la prima volta su questa drammatica malattia sulla quale c’è troppo poca attenzione una giornata di sensibilizzazione. 

Conosco la malattia e sostengo convintamente la ricerca per riuscire a trovarne la cura: perciò anche qui, dal blog, aderisco e vi chiedo di partecipare.

Qualcuno in Italia ha lanciato l’idea che alle 19,30 del 7 settembre si liberino in aria dei palloncini colorati ‘ché possano portarsi via questo male. Poetica iniziativa.

Ecco il link ad un video (cinque minuti del vostro tempo) in una pagina che parla dell’iniziativa:



Chi si occupa fattivamente di Duchenne in Italia è Parent Project. 

Vi invito a visitare il loro sito
E il loro conto corrente (c/c 94255007 Parent Project Onlus).
Informiamoci e partecipiamo, grazie!